Stati Uniti e Regno Unito hanno mosso una accusa comune contro il Governo russo, puntando il dito direttamente contro il Cremlino. L’accusa è quello di aver favorito una cyberwar di lungo periodo contro il mondo dell’energia occidentale, muovendosi nell’ombra per tentare di attaccare una serie di infrastrutture critiche quali una centrale nucleare USA ed una raffineria in Arabia Saudita. Il mondo dell’energia sarebbe stato nel mirino in modo particolare poiché cruciale per molte altre attività: riuscire a scoprire il fianco al “nemico” sarebbe stato funzionale alle successive ambizioni imperialiste del Cremlino, qualcosa di cui si possono immaginare i confini soltanto oggi a guerra ormai deflagrata.
Non sono queste accuse nuove, né già negli anni scorsi c’erano grossi dubbi circa la matrice governativa di questo tipo di offensiva. La mossa sembra però alzare il livello dello scontro tra le parti, sancendo una responsabilità più chiara delle manovre russe sfruttando i cracker per tentare di affondare il colpo contro il mondo anglosassone.
Cracker russi, accuse mirate
Nelle settimane scorse la Casa Bianca aveva già lanciato moniti relativi alla possibilità per cui da Oriente sarebbero potuti arrivare nuovi attacchi informatici e che le infrastrutture critiche dovevano essere monitorate con particolare attenzione. Lo stesso avviso era già arrivato in Europa e anche l’Italia ha iniziato a prepararsi a colpi di allarmi firmati dall’Agenzia Nazionale di Cybersicurezza.
Le accuse di USA e UK sono un modo per mettere questi affronti sulla pubblica piazza, affinché tutti sappiano ciò che sta succedendo ormai da tempo e ciò che si teme possa accadere di nuovo. Se è vero che a Biden si è rimproverato a lungo una certa esagerata loquela nei confronti di Vladimir Putin, al tempo stesso gli States non possono nascondere ciò che succede nel sottobosco di server e connettività fin dal decennio scorso, quando le prime attività sulle reti e sugli impianti USA hanno sollevato sospetti contro Mosca.
Secondo quanto indicato, gli attacchi fin qui portati avanti non hanno sortito effetti deleteri né gli indiziati (puntualmente segnalati) sono stati posti in stato di fermo. La cyberwar si muove dunque anche per mosse diplomatiche, un modo per far sapere alla controparte che il vicolo è cieco e che non conviene muovere altre pedine in quella direzione. Dall’ambasciata russa a Washington, dove la temperatura è già molto alta per ben altre questioni, non giungono al momento risposte.