Un’azione legale che parte da un capo del Pianeta e arriva al capo opposto. È quella che otto cittadini newyorchesi hanno indirizzato alla Cina e al suo potentissimo motore di ricerca Baidu, accusato di essere il braccio operativo della censura asiatica nei confronti dei contenuti a favore della democrazia.
La denuncia in questione è la prima del suo genere dal momento che l’imputato coinvolto non è solo il search asiatico, bensì lo stesso governo di Pechino, entrambi accusati di violare la Costituzione statunitense .
Secondo i querelanti, cinesi residenti nella Grande Mela, Baidu agirebbe da rinforzo rispetto alle regole di polizia imposte da Pechino e volte all’oscuramento di contenuti attinenti a questioni come i fatti di Piazza Tiananmen del 1989. La chiamata in tribunale, peraltro, arriva a più di un anno dal dirottamento del traffico sul dominio di Hong Kong da parte di Google.
“Noi sosteniamo – spiega Stephen Preziosi, legale dell’accusa – che un’azienda privata sta agendo in qualità di arma di uno stato straniero allo scopo di sopprimere il discorso politico, permeare i confini degli Stati Uniti violando il Primo Emendamento”. Inoltre, secondo Preziosi, la presunta censura viola le leggi sui diritti civili federali e dello stato di New York, sulla base dell’assunto che “un motore di ricerca è un luogo pubblico, allo stesso modo di un hotel o un ristorante”.
Jiang Yu, portavoce del Ministero degli Esteri cinese, ha risposto sostenendo che le corti di giustizia straniere non hanno giurisdizione alcuna in Cina.
James Zimmerman, avvocato presso lo studio legale Squire Sanders & Dempsey a Pechino, analizza il caso e prevede che possa essere rigettato dalla corte dal momento che Baidu, come le altre aziende multinazionali, opera in una zona soggetta a restrizioni ed è quindi obbligata a seguire le leggi cinesi. In effetti, lo stesso gigante asiatico del search non ha fatto mistero di obbedire alle disposizioni della muraglia digitale imposta dal governo di Pechino. E nonostante ciò il numero dei netizen cinesi è ulteriormente aumentato, toccando quota 477 milioni.
Cristina Sciannamblo