I file che le forze dell’ordine staunitensi rastrellano presso i computer e gli hard disk dei sospetti non possono essere conservati a tempo indeterminato per evenutali nuove analisi, non se non hanno nulla a che vedere con le prove di cui gli inquirenti erano alla ricerca.
Ad emettere una importante decisione in materia di computer forensics è la Corte di Appello degli Stati Uniti per il Secondo Circuito, chiamata ad esaminare il caso di tale Stavros Ganias, indagato nel 2003 per truffa. Oltre 10 anni fa le autorità incaricate delle indagini avevano ottenuto il necessario mandato per procedere alla copia del contenuto degli hard disk del cittadino: ne erano risultati 19 DVD di materiale , analizzati alla ricerca delle prove nel giro di un anno. Nel 2006, altri sospetti sono emersi nei confronti di Ganias, per questioni fiscali, e un altro mandato è stato ottenuto per tornare a scandagliare alla ricerca di prove i 19 DVD, ritenuti di proprietà del governo statunitense.
Ora la corte di appello ha stabilito che le prove emerse con la seconda analisi del materiale sono da considerare non valide: la motivazione risiede nel fatto che i file fossero stati conservati dalla autorità senza una reale motivazione . I DVD, infatti, contenevano del materiale inutile ai fini della prima indagine a carico di Ganias: conservarli a tempo indeterminato, affinché fossero utilizzati all’occorrenza, costituirebbe una pratica incostituzionale. Il Quarto Emendamento della Costituzione statunitense stabilisce infatti il diritto del cittadino a non subire perquisizioni, arresti e confische irragionevoli.
E irragionevole sarebbe la conservazione dei file e dei dati personali che risultino irrilevanti. Il giudice, infatti, ha respinto ciascuna delle giustificazioni avanzate dalle autorità in merito alla conservazione del materiale. I DVD, ha spiegato, saranno anche di proprietà del governo statunitense, che ha proceduto a un sequestro eseguendo una copia e non sottraendo del materiale concreto e analogico, ma ciò non ne giustifica la conservazione ad libitum. È inoltre inaccettabile il fatto che il governo consideri le proprie procedure lecite in quanto i file accumulati in precedenza possano offrire le prove di attività illegali che il cittadino si potrebbe essere premurato di rimuovere dagli hard disk personali: secondo il giudice questa argomentazione non avrebbe la forza per ad autorizzare la conservazione delle copie per un tempo indefinito. La corte d’appello ha inoltre ritenuto non sostenibile il fatto che il governo ritenga “non praticabile” la selezione dei file utili alle indagini e la cancellazione dei dati che non le riguardano: un modo per selezionare le sole prove utili, secondo il giudice, deve esistere, e anche qualora non esistesse ciò non giustifica il fatto che le copie dei file contenuti sugli hard disk di un sospetto indagato per un determinato illecito vengano riutilizzate in un secondo momento per ricercare delle prove relative ad un altro atto illegale.
Non esistono motivazioni valide per supportare la conservazione a tempo indeterminato dei materiali non rilevanti ottenuti con un regolare mandato: “i file estratti da un computer – spiega il giudice – possono contenere dettagli intimi riguardo ai pensieri, alle convinzioni e allo stile di vita di un individuo e analogamente ai documenti del 18esimo secolo vanno protetti dalle intrusioni indesiderate del governo”. Se dunque il Quarto Emendamento da oltre due secoli fa sì che perquisizioni e sequestri siano circostanziati, che impediscano alle autorità alla ricerca di determinate prove di individuarne altre relative ad altri atti illegali, è da ritenersi incostituzionale la conservazione di materiali che, pur essendo copie e non pregiudicando il diritto al possesso materiale dell’indagato, siano irrilevanti rispetto all’atto illecito per cui sono stati raccolti.
La corte d’appello non ha prescritto alcuna regola, né ha dettato i tempi di conservazione del materiale, ma il caso rappresenterà probabilmente un importante precedente per la giurisprudenza degli States.
Gaia Bottà