“Questo è un accordo che potrebbe colpire i diritti esclusivi di milioni di autori ed editori, negli Stati Uniti e all’estero, per quanto riguarda le loro capacità di creare nuovi prodotti su nuovi mercati, per anni e anni a venire”. A dichiararlo, Marybeth Peters, a capo del Copyright Office statunitense, agenzia che si preoccupa di amministrare le pratiche legate alla tutela del diritto d’autore. Un recente documento ufficiale ha infatti riportato le principali obiezioni mosse dall’autorità statunitense all’affaire tra Book Search e gli autori ed editori riuniti nella Authors Guild.
“L’accordo – si legge nel documento presentato al Congresso statunitense – andrebbe a creare dei meccanismi attraverso cui Google continuerebbe a digitalizzare impunemente negli anni a venire, creando, con nostra grande sorpresa, un numero ancora maggiore di prodotti commerciali senza un espresso consenso da parte dei detentori dei diritti”. BigG, stando alle preoccupazioni di Peters, verrebbe assolta da ogni responsabilità legata alla fondamentale ricerca dell’autorizzazione da parte di autori ed editori. Impensabile, considerato che si tratta di un’entità commerciale che, come tale, opera a proprio vantaggio economico.
Stando alla visione del Copyright Office , si tratterebbe anche di un problema legato alle competenze giudiziarie, così come attualmente stabilite dalle leggi statunitensi in materia. Il settlement , in altre parole, sconfinerebbe: i risultati dell’accordo finirebbero per confliggere con le attuali policy sul diritto d’autore, che tradizionalmente possono essere modificate solo dal Congresso.
David Drummond, legale di Google presente all’udienza, ha difeso l’accordo da 125 milioni di dollari, affermando che permetterebbe a editori e autori di conservare il proprio controllo sulle opere , andando poi ad allargare la platea dei lettori, mettendo a disposizione milioni di libri fuori catalogo che sono attualmente nascosti all’interno delle principali biblioteche.
Le obiezioni mosse dall’istituzione statunitense sarebbero infondate , almeno stando alle dichiarazioni di Drummond. “Pensiamo che l’accordo sia perfettamente legale – ha spiegato al Congresso – e che inoltre sia ben strutturato, all’interno delle linee guida che regolano una class action . E non va certo ad usurpare il potere del Congresso degli Stati Uniti, che può continuare a fare come vuole”. Drummond ha inoltre respinto le teorie che vedrebbero Google come un possibile futuro monopolista: “i libri fuori catalogo non guidano il mercato degli e-book . Non abbiamo alcuna quota di mercato in questo ambito, quindi come potremmo essere considerati dei monopolisti se ancora non operiamo in questo segmento?”.
Il legale della Grande G ha poi presentato una proposta che preveda la disponibilità da parte di Google a lasciare che qualsiasi rivenditore di libri possa accedere agli archivi elettronici di Mountain View . “Questo significa – ha spiegato Drummond – che qualsiasi book seller , Amazon o Barnes & Noble o Microsoft, sarà in grado di vendere testi coperti dall’accordo. Abbiamo, in sostanza, un reseller program “.
Il programma in questione avrebbe in piano di dividere i ricavi: Google otterrebbe il 37 per cento dei profitti dalla vendita di libri in formato digitale attraverso il suo servizio; mentre il reseller si prenderebbe “la parte più significativa” di questa percentuale di guadagno . Paul Misener, vice-presidente Amazon per la global policy , ha tuttavia risposto picche: “Internet non è mai stata coinvolta nell’intermediazione. Siamo felici di lavorare con i detentori dei diritti senza l’aiuto di nessuno”.
Mauro Vecchio