Il Pentagono ha chiesto a RAND Corporation di stabilire chi ha il “voto mondiale” più alto nelle discipline scientifiche e tecnologiche. La risposta è quasi scontata : i primi della classe continuano ad essere gli Stati Uniti.
I ricercatori di RAND hanno subito precisato che le loro conclusioni contrastano con la convinzione di alcuni cittadini americani, secondo i quali la nazione sta perdendo competitività in quelle aree cruciali del sapere. RAND, invece, sostiene che gli Stati Uniti siano nel settore molto più avanti dei loro principali competitor in Europa e Giappone.
Il rapporto stilato da RAND spiega che “nonostante nazioni in forte sviluppo come Cina, India e Corea del Sud abbiano evidenziato rapide crescite nel campo, dimostrano di avere un’influenza solo parziale nella diffusione dell’innovazione scientifica”.
Non è mancato l’esame delle attività scientifiche e tecnologiche negli ambiti governativi, industriali e accademici; sono state, invece, tralasciate le singole situazioni paese per paese, pur evidenziando la leadership a stelle e strisce sulla base di una lunga serie di parametri di misura. Tra questi, il fatto che gli States destinino a ricerca e sviluppo il 40 per cento della spesa globale , il fatto che offrano impiego al 70 per cento dei vincitori di Premio Nobel e che ospitino i tre quarti dei migliori atenei del mondo.
“Non ci sembra proprio che la crisi scientifica e tecnologica di cui tanto si parla si trovi qui”, riferisce in un’intervista rilasciata a Reuters Titus Galama, uno degli autori del rapporto. “Nel mondo stanno cambiando molte cose e a quanto sembra gli Stati Uniti vi si stanno adattando bene”.
Studenti, scienziati ed ingegneri stranieri giocano un ruolo importantissimo e la loro presenza aiuta gli States nelle loro task force ingegneristiche, le supporta in una crescita più rapida di quella che si otterrebbe se ci si servisse solo di persone del luogo. Secondo RAND, il governo dovrebbe dunque facilitare ulteriormente la permanenza di studenti stranieri – specie quelli già laureati – nei propri atenei e permettere loro, ove opportuno, di trattenersi a tempo indeterminato.
Dal rapporto risulta anche che il 70 per cento degli scienziati stranieri che si guadagnano un titolo negli Stati Uniti sceglierebbe di restare là, mentre le limitazioni introdotte sui visti di ingresso influiscono negativamente sul condensato di cervelli che resta a disposizione del paese. Cervelli che, sempre più spesso, fuggono dai propri paesi d’origine per non tornarvi mai più .
Marco Valerio Principato