Sudori freddi, tremori, nervi a fior di pelle. Il laptop sta solo a pochi metri di distanza: controllare la casella di posta potrebbe alleviare la sofferenza, ma significherebbe cedere all’impulso che ormai governa la quotidianità. Il richiamo è forte, la soddisfazione è vicina, le dita battono ormai sulla tastiera. Il sollievo è istantaneo, ma il fremito si ripresenterà, così come si ripresenterà la sensazione di aver assecondato un istinto non naturale, di aver alimentato la propria dipendenza.
Trattasi di Dipendenza da Internet , trattasi di un disturbo compulsivo impulsivo, una patologia che lo psichiatra americano Jerald J. Block ha proposto di annoverare nella prossima edizione del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders .
I sintomi e le manifestazioni del disturbo, spiega lo psichiatra, sono quelli che si verificano fra coloro che sono afflitti da altri tipi di dipendenza. Il tecnotossico si estrania dal mondo e dalla quotidianità quando è intento ad assumere la propria dose di Internet: perde il senso del fluire del tempo, dimentica di assolvere ai bisogni primari , trascura se stesso e coloro che lo circondano. La soglia di tolleranza si alza in maniera incontrollabile: più tempo si impiega a contatto con la tecnologia, maggiore sarà la razione che si dovrà assumere per soddisfarne il bisogno. Non è solo una questione di tempo: la mente del dipendente da Internet ha un incontenibile bisogno di migliorare la qualità della razione di tecnologia che assume, “richiede costantemente equipaggiamenti più aggiornati – chiarisce Block – richiede sempre più software”.
L’astinenza provoca al soggetto sofferenze acute : non si tratta di semplice ansia da disconnessione associata a episodi di panico e a blande forme di depressione. L’inaccessibilità di computer e smartphone, la connettività negata scatenano violente manifestazioni di tensione, la rabbia esplode in sfoghi irrefrenabili, la vita sembra perdere di senso. È così che l’individuo afflitto dalla dipendenza si ritrova in un vortice di menzogne e di espedienti per giustificare le sue impellenti necessità, comportamenti che conducono all’isolamento, alla depressione che ne deriva e che si ripercuote su tutta la vita quotidiana.
La motivazioni che fanno precipitare gli individui nel viluppo della dipendenza non sono gli strumenti tecnologici in sé, ma l’uso che se ne fa : sono l’incontenibile bisogno di raggiungere sempre nuovi risultati nel gaming , il fascino di vivere in rete la propria sessualità , l’ossessione per il consolidamento di relazioni online che avvincono il malcapitato e lo trasformano in un tecnotossico.
Cina e Corea del Sud sono molto più avanti rispetto agli States nel trattamento e nello studio di queste patologie, ha spiegato Block: “I tentativi di analizzare e misurare il fenomeno sono vanificati dalla vergogna, dalla negazione, dalla minimizzazione” con cui le persone guardano al fenomeno. Ma psichiatri e medici americani non dovrebbero rassegnarsi: la tecnodipendenza mette a soqquardo la vita delle persone, è difficile da sradicare. Block suggerisce dunque di attribuire a questo disordine comportamentale uno status ufficiale , affinché coloro che si imbattano in pazienti che ne sono afflitti riconoscano il problema e lo combattano con terapie adeguate.
Ma non mancano coloro che invitano alla prudenza : lo stesso Block ha riscontrato che le manifestazioni della tecnodipendenza si verificano spesso in soggetti che presentano altri disturbi di natura psichiatrica . Il refresh compulsivo dell’email, l’ansia di aggiornare il proprio blog, l’impellente bisogno giocare online potrebbero essere sintomi di un disagio profondo che affligge l’individuo nella vita quotidiana. Curando questo disagio, la tecnologia tornerebbe ad essere un piacevole passatempo.
Gaia Bottà