Aveva tentato di soffocare le opinioni del proprio paziente con la firma di un contratto di cessione dei diritti di proprietà intellettuale su tutti i commenti eventualmente postati in Rete, così da poterne rivendicare la rimozione qualora risultassero poco lusinghieri: la giustizia statunitense ha stabilito che l’ingegnosa tattica adottata dalla dentista statunitense Stacy Makhnevich costituisce un abuso.
La dottoressa Makhnevich non era che uno dei tanti professionisti ad aver approfittato dei moduli messi a disposizione di Medical Justice , organizzazione di categoria statunitense che aveva elaborato uno stratagemma per contenere le opinioni disseminate in Rete dagli utenti: facendo sottoscrivere ai pazienti un accordo di cessione dei diritti d’autore su eventuali recensioni in cui si menzionassero il medico o le cure prescritte, gli associati di Medical Justice avrebbero potuto rivendicare la paternità del testo composto dal paziente, e chiedere la rimozione alla piattaforme online che lo ospitassero.
Gli attivisti che si battono a tutela dei cittadini della Rete si erano scagliati contro l’associazione, che fra le polemiche aveva scelto di ritirare i contratti e di scoraggiare i medici del sottoporli ai loro pazienti. Nel frattempo, però, tale Robert Lee aveva scelto di ingaggiare una battaglia personale contro la dentista che lo avrebbe curato ad un prezzo spropositato, e avrebbe tentato di metterlo a tacere per mezzo di una richiesta di rimozione del commento inoltrata a Yelp sulla base del DMCA e della cessione dei diritti d’autore firmata, rivendicando 100 dollari per ogni giorno in cui la recensione fosse rimasta visibile online.
Il caso della dottoressa Stacy Makhnevich si è ora chiuso: la donna non si è mai presentata in tribunale per difendere le proprie ragioni e il giudice di New York incaricato di valutare il caso ha emesso la propria sentenza . L’opinione espressa da Lee su Yelp non rappresenta una violazione del diritto d’autore: “la rivendicazione del copyright con l’esplicito intento di prevenire la circolazione dell’opinione di Lee costituisce una violazione del rapporto fiduciario fra le parti e una violazione del codice etico di categoria – ha spiegato il giudice – e costituisce un abuso della legge che regola il copyright”. Il contratto sottoposto a Lee non era dunque valido, ma anche nel caso in cui fosse stato valido, l’opinione di Lee sarebbe ricaduta sotto la disciplina dell’uso legittimo, che tutela il cittadino nel suo diritto di critica e di commento.
Gaia Bottà