USA, il furto di identità non paga

USA, il furto di identità non paga

Due diverse indagini portano alla cattura di veri e propri pezzi da novanta del crimine finanziario telematico. Ex-hacker e truffatori colpevoli di aver abusato di conti bancari e carte di credito
Due diverse indagini portano alla cattura di veri e propri pezzi da novanta del crimine finanziario telematico. Ex-hacker e truffatori colpevoli di aver abusato di conti bancari e carte di credito

Il crimine finanziario connesso al furto e all’abuso di identità non paga . Per lo meno negli States, dove alla lunga i colpevoli vengono individuati e consegnati alla giustizia soprattutto quando tra le vittime ci sono nomi eccellenti come la famiglia di Ben Bernanke, presidente della Federal Reserve recentemente riconfermato da Barack Obama nel suo ruolo di garante del sistema monetario statunitense.

Il coinvolgimento della famiglia Bernanke risale al 7 agosto scorso, quando alla moglie Anna è stato sottratto il borsello mentre la donna era in uno Starbucks di Washington. Con il furto i truffatori sono venuti in possesso del libretto di assegni gestito in comune dai due coniugi, abusandone per mettere in pratica lo schema noto come “split deposit transaction”.

Seguendo tale schema, spiega l’ispettore postale William J. Aiello in un affidavit, “il malvivente prima fa un deposito in uno dei conti della vittima, versando un assegno personale in quel conto da un altro conto caduto vittima di furto di identità”. Lo scopo dell’operazione è generalmente duplice, vale a dire “gonfiare surrettiziamente il bilancio del conto e/o identificare il numero di conto specifico. Questo versamento sarebbe poi seguito da una serie di contro-prelievi, riscossione di assegni o prelievi elettronici”.

Sul conto dei Bernanke ha operato un certo George Lee Reid, versando 900 dollari da questo transitati e incassando due assegni da 4.500 dollari. Ma quella di Reid, così come l’incidente eccellente capitato alla moglie del capo della Fed , era solo una minima parte di un operazione di più ampia portata : una serie di furti di dati finanziari e identificativi riconducibili allo stesso “ring” e allo stesso cervello, vale a dire Clyde Austin Gray Jr. anche noto come “Big Head”.

Le vittime di Gray e i suoi sodali sarebbero state migliaia nel corso degli anni, e a parte il caso Bernanke l’organizzazione ha subito un duro colpo ai suoi affari quando, nel settembre 2007, un diligente dipendente della società di spedizioni FedEx si è rifiutato di processare un pacco per conto di un certo Leonardo Darnell Zanders.

Il pacco violava la policy aziendale perché come indirizzo di restituzione specificava l’ufficio della FedEx da cui esso sarebbe partito. Vistosi rifiutare la sua richiesta Zanders se l’era filata di gran fretta lasciando dietro di se il pacco, che a un controllo dei responsabili di sicurezza della FedEx aveva rivelato il suo prezioso contenuto di assegni personali, documenti di identità, carte di credito e bancarie, patenti, ID militari e materiale similare sottratto alle sfortunate vittime della gang.

In quanto a truffe da capogiro non scherza nemmeno Albert Gonzalez, ex-hacker assunto dai servizi segreti che non ha pero mai perso il “vizietto” di rubare informazioni e identità: e che avrebbe messo le mani, nel corso della sua lunga carriera, su qualcosa come 170 milioni di conti finanziari e bancari.

Gonzalez, che si è dichiarato colpevole e ha fatto dire dal suo legale di essere vittima di una dipendenza da computer piuttosto che dalla volontà di fare del male a qualcuno, si è distinto per le sue tante sortite nei sistemi delle aziende facenti parte della prestigiosa classifica Fortune 500 , pratica che non ha abbandonato nemmeno durante il suo “servizio” come informatore dei servizi statunitensi.

I metodi più usati per condurre tali operazioni di “alto hackeraggio”? Un po’ di wardriving , software di sniffing usati sugli access point sprotetti e qualche malware installati su server compromessi. Il ventottenne Gonzalez avrebbe tra l’altro fatto parte della banda di criminali coinvolti nel “sacco di dati” alle TJX Companies che tanto clamore aveva provocato un paio d’anni or sono.

Alfonso Maruccia

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Pubblicato il
31 ago 2009
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