21 milioni di dollari intascati per tre anni e mezzo di intercettazioni: questo è quanto l’operatore Sprint avrebbe raggranellato illecitamente collaborando con le autorità statunitensi che l’hanno coinvolto nello spionaggio dei cittadini disposto dalla giustizia. Se gli Stati Uniti rifondono regolarmente le telco per i servizi di tecnocontrollo prestati, non tollerano però che i conti vengano gonfiati.
Per questo motivo l’amministrazione Obama ha denunciato Sprint: chiamata a collaborare dal Communications Assistance in Law Enforcement Act ( CALEA ) del 1994, secondo cui gli operatori di telecomunicazioni devono contribuire alle intercettazioni ma possono gestire un proprio tariffario per il rimborso spese, la telco avrebbe approfittato delle commissioni ricevute. Le autorità statunitensi stimano che l’operatore abbia chiesto il 58 per cento in più rispetto alle spese effettivamente sostenute nel periodo tra il gennaio del 2007 e la fine di luglio del 2010 per soddisfare le necessità spionistiche di FBI, U.S. Marshals Service, Bureau of Alcohol, Tobacco and Firearms e Immigration and Customs Enforcement (ICE).
Sprint, secondo quanto emerso dalle investigazioni, avrebbe scaricato sull’amministrazione statunitense i costi di aggiornamento delle infrastrutture, che non sono contemplati nelle linee guida che regolamentano le richieste dei rimborsi: con l’ausilio di note spesa poco trasparenti l’operatore avrebbe dunque incamerato denari non dovuti.
Nonostante Sprint abbia già comunicato di ritenersi in una posizione perfettamente in linea con la legge, l’amministrazione statunitense pretende un risarcimento, con gli interessi: oltre alla sanzione pecuniaria che verrebbe elevata in caso in cui la telco venisse riconosciuta colpevole, si chiedono 63 milioni di dollari di danni. Una somma che potrebbe tornare utile per sostenere un’ abitudine alle intercettazioni che continua a crescere.
Gaia Bottà