“È agghiacciante quello che ora è a disposizione del pubblico: l’idea di poter controllare informazioni riguardanti la first lady , dove stia andando, come ci stia arrivando. È un problema e dobbiamo arrivare fino in fondo”. A farlo presente è stato il democratico Edolphus Towns, presidente della House Oversight and Government Reform Committee che, in una recente seduta della Camera dei Rappresentanti, ha spiegato perché per il governo statunitense dovrebbe essere arrivato il tempo di regolamentare le aziende che forniscono servizi di file sharing .
A monte ci sarebbe, stando a quanto ha illustrato Towns, una serie di gravi falle in materia di privacy , dal momento in cui i software p2p fanno in modo che l’utente condivida inconsapevolmente dati e documenti personali o addirittura segreti. “Per quanto mi riguarda – ha continuato il presidente nel corso della seduta – i giorni dell’auto-regolazione dovrebbero essere finiti per l’industria del file sharing. Durante la scorsa amministrazione, la FTC ha adottato un approccio troppo permissivo nei confronti di queste aziende: spero che la prossima rivedrà questo approccio”.
Le autorità statunitensi hanno quindi richiamato l’attenzione della Federal Trade Commission , dopo un appello di due anni fa che la incoraggiava a svolgere un’indagine accurata per evidenziare tutti i rischi per la privacy derivanti dalla condivisione nelle reti p2p. Una seria questione di sicurezza nazionale , allora come adesso, ritornata nei pensieri governativi in seguito alla fuga incontrollata di file dell’FBI, documenti medici e numeri della previdenza sociale (SSN).
A sottolineare ulteriormente il problema è stato Robert Boback, CEO di Tiversa, azienda che opera nel settore della sicurezza informatica e in particolare nel campo del file sharing: a volare in maniera incontrollata su schermi altrui sarebbero state informazioni militari riservate. Boback ha allarmato le autorità riunite, riportando come una lista di siti nucleari fosse stata trovata in quattro punti della Francia e non al sicuro nella cassaforte dei segreti presidenziali. “Abbiamo avuto accesso – ha terminato Boback – ad informazioni confidenziali (SSN, gruppi sanguigni, indirizzi) relative a più di 200mila dei nostri soldati”.
“Per il nostro governo e le sue informazioni riservate – si è accodato Towns – questi rischi sono semplicemente troppo grandi per essere ignorati”. E proprio per non chiudere gli occhi, le autorità hanno deciso di intervenire con una legislazione federale che mettesse al bando i poco sicuri software p2p dai computer e dalle reti interne governative . Al centro della bufera Limewire, ovvero il software per il file sharing più utilizzato in territorio statunitense: sarebbe il principale colpevole, secondo Towns, della pericolosa fuga di dati relativa all’esatta ubicazione di una delle safe house della famiglia di Barack Obama.
A puntare il dito contro Limewire anche Thomas Sydnor del Center for the Progress & Freedom Foundation che ha riportato alla Commissione un esperimento personale condotto a partire da un folder chiamato My Documents contenente quasi 17mila file. “Dopo essermi accertato che nessuna versione di Limewire fosse installata sul test computer – ha spiegato Sydnor – ho fatto qualcosa di molto pericoloso: scaricare l’ultima versione del software”. Dopo aver mantenuto le impostazioni di default, il programma avrebbe subito messo tutti i file in condivisione.
Sydnor ha definito il software in questione qualcosa di “pericolosamente incontrollabile”, scatenando la reazione del CEO di Limewire Mark Gorton che aveva già definito sicura la release 5.0 del software di p2p. “Limewire 5 non condivide in automatico i file generati dagli utenti – ha risposto Gorton – Contrariamente a quanto asserisce Sydnor, il nostro software non condivide contenuti sensibili. Infatti, di default, Limewire non permette lo sharing dei documenti Word, né di quelli Corel, Excel, Powerpoint o PDF”.
Mauro Vecchio