Gli attentati di Parigi, come prevedibile, hanno suscitato in Rete e per la Rete le reazioni più contrastanti: la solidarietà mostrata dai netizen e dalle aziende che operano online ha presto ceduto il passo al timore nei confronti di ciò che in Rete c’è di incontrollabile: la cifratura , questione ampiamente dibattuta, al centro del bilanciamento tra il diritto dei cittadini alla vita privata e le esigenze di sicurezza nazionale, è stato il primo bersaglio della retorica politica. Ma la propaganda incentrata sulla leva del terrore e sulla panacea del tecnocontrollo continua a riempire le bocche degli inquilini dei Palazzi: nuove proposte ribollono soprattutto negli Stati Uniti, costretti dallo scandalo del Datagate a retrocedere nelle tentacolari pratiche di sorveglianza legittimate a partire dal Patriot Act dall’urgenza di reagire al terrorismo.
E proprio il Patriot Act , giunto alla sua scadenza nei mesi scorsi, resta per qualcuno il modello da seguire: lo è per il senatore repubblicano Tom Cotton, che ha ventilato la proposta di un esplicito Liberty Through Strength Act , con l’intento di posticipare la scadenza della raccolta a strascico dei metadati telefonici fissata dallo USA Freedom Act per la fine di questo mese. Cotton auspica di prolungare la validità della pratica fino alla fine di gennaio del 2017, disponendo d’urgenza di rimandare la riforma della NSA e di consentire all’intelligence di intercettare sulla base di mandati estremamente permissivi.
Se le pratiche di tecnocontrollo mancano ancora di provare concretamente la loro efficacia, la retorica politica indirizza le giustificazioni sulle tecnologie di cifratura : nonostante gli States abbiano formalmente rinunciato a imporre alle aziende di spalancare delle backdoor per agevolare il monitoraggio dei nemici della sicurezza nazionale, è il senatore repubblicano John McCain a premere per un cambio di rotta, avviando un dibattito al Congresso in vista della proposta di un testo legislativo. Poco importa, a questo punto, che sia emerso che il coordinamento degli attentatori sia avvenuto attraverso gli ordinari e intercettabili SMS : la macchina del terrore opera a pieno regime e la lucidità del trattare il bilanciamento tra diritto alla privacy e diritto alla sicurezza è appannaggio di pochi.
La crociata degli States, poi non si combatte solo sul fronte tecnologico e della sorveglianza: oltre ad essere uno strumento insondabile di comunicazioni segrete, la Rete è un veicolo di proselitismo nelle mani dei terroristi. “L’ISIS e le reti terroristiche non possono batterci sul campo militare – ha ammonito il repubblicano Joe Barton – ma stanno tentando di usare Internet e tutti i social media per provare a impressionarci e batterci sul fronte psicologico”. La soluzione? Barton guarda all’ approccio francese al problema e suggerisce di “abbattere questi siti”: pur essendo consapevole che “si moltiplichino come erbacce” e pur dimostrandosi incerto riguardo alle istituzioni che potrebbero agire in questo senso. Il Congressman ha già chiesto alla FCC, cane da guardia della neutralità della Rete e delle sue eccezioni, di meditare sulla questione, in vista di un eventuale coinvolgimento dei fornitori di connettività nella causa del soffocamento della libertà di espressione di coloro che vengano ritenuti usare Internet in maniera “estremamente offensiva e inappropriata nei nostri confronti”.
La repressione delle libertà in Rete a mezzo di oscuramenti sull’onda del terrore si dimostra però ogni giorno più inadeguata: è stato necessario denunciare pubblicamente l’accaduto e verificare tre volte la propria identità ad una donna estromessa da Facebook per la sola colpa di portare il nome Isis .
@facebook why would you disable my personal account? MY REAL NAME IS ISIS ANCHALEE /facepalm
– Isis Anchalee (@isisAnchalee) 16 Novembre 2015
Il dibattito è tutt’altro che sopito, e la quadratura del cerchio tra diritto alla privacy e diritto alla sicurezza, tra libertà di espressione e leggi che puniscono le manifestazioni di odio sembra sempre più complessa. È proprio nel tentativo di cercare questo delicato equilibrio che si è mossa Telegram, applicazione di messaggistica cifrata e privata che ospita altresì canali pubblici, veicolo tanto di comunicazioni riservate quanto di propaganda naturalmente pensata per avere la massima visibilità. Dopo l’ annuncio del blocco di numerosi canali pubblici che ospitavano messaggi di terrore i gestori dell’app nel vano di mostrare il proprio supporto, sono stati costretti a precisare che le comunicazioni tra individui non si possono soffocare, a differenza di canali in cui la violazione è manifesta. Una precisazione necessaria a placare la fantasia di di media confusi almeno quanto i politici.
Gaia Bottà