È stato ripreso, bacchettato in aula. Il suo nome, Mitchell Makowicz Jr, avvocato nello stato del New Jersey. La sua unica colpa, aver utilizzato una connessione WiFi per andare a cercare su Google alcune informazioni sui potenziali giurati di un caso non meglio specificato dalle cronache .
“Sta forse utilizzando Google per ottenere dati sui potenziali membri della giuria?”, gli ha chiesto il giudice David Rand. “Vostro onore – ha risposto prontamente Makowicz – non esiste codice di legge che mi impedisca di farlo”. Ma al giudice Rand non pare esser piaciuta affatto la presenza attiva del laptop dell’avvocato.
E così gli ha ordinato di spegnerlo immediatamente . Provocando ovviamente le reazioni più stizzite da parte di Makowicz, conscio di una sentenza in appello che aveva già autorizzato l’uso dei computer connessi ad Internet all’interno dei tribunali. Nessun rischio, dunque, per l’imparzialità del dibattimento.
Ma per il giudice Rand l’effettiva presenza di un hotspot WiFi in aula non dovrebbe assolutamente implicare connessione alcuna da parte degli avvocati o dei giurati. Un panel di giudici ha tuttavia spiegato come quello di Rand sia stato una sorta di abuso nei confronti dell’avvocato.
Il dibattito resta però acceso. I tribunali statunitensi cercano di vietare l’uso di nuove tecnologie connesse, sia da parte di avvocati che di giurati. Proprio un giurato è recentemente finito nel mirino di un giudice della Florida per aver cercato online il termine prudence – qui usato per legittima difesa – dal proprio iPhone.
Mauro Vecchio