Il Grand Jury del distretto ovest della Pennsylvania ha denunciato cinque esperti informatici dell’esercito cinese per azioni illegali di hacking, spionaggio economico ed altre offensive che hanno coinvolto sei cittadini statunitensi operanti nell’industria nucleare, dei metalli e dell’energia solare.
Secondo l’accusa , le offensive cinesi condotte dai militari dell’unità 61398 di Shanghai avrebbero avuto l’obiettivo di carpire ad aziende americane segreti ed informazioni da passare poi alle controparti cinesi, tra cui imprese a partecipazione pubblica.
A preoccupare particolarmente le autorità a stelle e strisce, il fatto che stavolta sarebbe diretto il coinvolgimento dell’esercito cinese: si tratterebbe del primo caso giuridico che vede chiamati sul banco degli imputati degli ufficiali di uno stato straniero per attacchi informatici. Il Governo Obama non aveva mai tenuto nascosto l’ intenzione di rispondere direttamente ai cyberattacchi guidati da potenze straniere e in un recente studio ha dichiarato che sarebbero stati compromessi 40 programmi relativi alle armi legati al Pentagono e circa 30 progetti dedicati ad altre tecnologie del Dipartimento della Difesa.
La risposta di Pechino non si è fatta attendere: la Cina ha annunciato di aver sospeso la cooperazione con gli Stati Uniti nei gruppi di lavoro dedicati alla cybersicurezza e di riservarsi di attuare ulteriori rappresaglie “con l’evolversi della situazione”.
Inoltre, il Ministro degli Esteri cinese ha rispedito al mittente le accuse affermando che “la Cina è vittima di diverse incursioni informatiche perpetrate dagli Stati Uniti, di intercettazioni e di sorveglianza illegale”, come d’altronde dimostrerebbero gli ultimi documenti divulgati in riferimento al Datagate e le accuse di aziende a stelle e strisce come Cisco, che continuano a chiedere a Washington regole chiare che impediscano le ingerenze e lo spionaggio della National Security Agency (NSA).
Claudio Tamburrino