Il Primo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti tutela i risultati di ricerca offerti dai vari search engine del web: è la tesi sbandierata dal celebre docente e blogger Eugene Volokh, in un libro bianco pubblicato sul suo spazio online The Volokh Conspiracy , commissionato dal gigante Google.
“Una volta, le fonti principali d’informazione erano i giornali, i manuali, le enciclopedie – ha esordito Volokh nell’introduzione al suo report – Oggi, queste stesse fonti includono anche i risultati dei motori di ricerca, che vengono usati dalla gente per informarsi, conoscere le istituzioni locali, i prodotti e i servizi”.
I principi costituzionali che tutelano la libertà d’espressione hanno impedito al governo di decidere cosa pubblicare e in quali modalità. Un discorso che valeva (vale) per i manuali e i quotidiani, e che dovrebbe applicarsi anche al lavoro di indicizzazione offerto quotidianamente dai search engine operativi su Internet .
Secondo la tesi di Volokh, motori di ricerca come Bing, Yahoo! e Google producono dei risultati che sono paragonabili ad una forma di comunicazione e dunque d’espressione. Perché selezionano ciò che è più rilevante e utile per i bisogni informativi dei netizen . “È quello che fanno per trattenere gli utenti e non concederli alla concorrenza”, spiega il docente.
E dunque il lavoro dei motori di ricerca – a metà tra scienza e arte, come sottolinea Volokh – sarebbe del tutto paragonabile a quello di un colosso editoriale come ad esempio il New York Times . La selezione di determinati risultati di ricerca dovrebbe essere tutelata con il Primo Emendamento per la libertà d’espressione sul web .
L’interrogativo serpeggia online: perché BigG avrebbe commissionato a Volokh un libro bianco con questo genere di tesi? Il controllo editoriale, è noto, porta con sé delle responsabilità non dovute agli intermediari, sebbene non di rado siano loro attribuite.
Mauro Vecchio