“Non vogliono pagare per l’uso della nostra musica. La loro missione è quella di diffondere la voce che la nostra musica debba essere gratis”: vengono descritti così certe frange di sostenitori dei diritti digitali, come degli elementi che muovono in maniera sotterranea nel tentativo di radunare attorno a sé denari e masse connesse da spingere alla predoneria sventolando il vessillo di una equivoca Free Culture . È questo il ritratto che ASCAP , uno dei coirrispettivi statunitensi della italiana SIAE, traccia per associazioni come Creative Commons , Electronic Frontier Foundation , Public Knowledge , cha da anni si battono a favore dei diritti dei netizen, a favore di uno sviluppo di un mercato dei contenuti che meglio sappia rispondere alle esigenze di platee cambiate.
La raffigurazione di ASCAP dà colore ad una lettera inviata ai propri soci: li si invita a diffidare da queste associazioni, li si invita ad alimentare con denari l’ASCAP Legislative Fund for the Arts (ALFA) e la sua opera di lobbying già ben avviata , affinché faccia da supporto a un fido delegato che possa rappresentare l’industria della musica presso le istituzioni statunitensi.
Se gli associati non si preoccupassero di lottare per difendere un diritto d’autore solido e monolitico , tutto l’apparato industriale potrebbe sgretolarsi sotto gli affondi del movimento della Cultura Libera. ASCAP non ne fa una questione di mercato, non esplicitamente. È vero che, a differenza di quanto avviene in Italia con SIAE, la collecting society ASCAP non detiene un mandato esclusivo nella raccolta dei proventi degli autori, i quali possono liberamente scegliere di riservare tutti i diritti su parte delle proprie opere affidando a ASCAP la raccolta dei proventi, e di riservare solo alcuni diritti su parte delle proprie opere, alimentando così il mercato della Cultura Libera. È altresì vero però che i modelli di business fondati su un diritto d’autore più flessibile non sembrano ancora minacciare l’industria tradizionale. È forse per questo motivo che in questa contingenza, piuttosto che snocciolare numeri, ASCAP chiama in causa i principi, semina il terrore descrivendo l’impatto delle istanze di queste associazioni come un’ondata dirompente.
“Numerose forze, come Creative Commons, Public Knowledge, Electronic Frontier Foundation e aziende con le tasche ben gonfie che operano nel settore della tecnologia si stanno mobilitando per promuovere il Copyleft per attentare al nostro Copyright”. Lo farebbero infiltrando idee rivoluzionarie quanto insidiose a mezzo pressioni sulle istituzioni: “temiamo che i nostri oppositori stiano influenzando il Congresso contro gli interessi dei creatori di musica – ASCAP mette in guardia i suoi associati – se fosse dato credito alle loro prospettive i creatori di musica avrebbero sempre maggiori difficoltà a trarre di che vivere dal loro lavoro, mentre i media tradizionali diventeranno servizi wireless e online”.
A differenza di quanto promesso dagli esponenti dell’ondata del copyleft, le idee propugnate sotto l’egida della Cultura Libera non favorirebbero l’ascesa di artisti freschi, non favorirebbero l’avvento di un mercato dei contenuti più florido e fruttuoso, non innescherebbero meccanismi capaci di alimentare l’estro degli autori e nuovi modelli di business. Si tratta piuttosto di idee che rischiano di inaridire il fluire della creatività : “la musica si prosciugherà, e la vittima di questo processo sarà proprio il consumatore di musica”.
ASCAP chiede dunque contributi in denaro per sostenere la causa di un mercato che non saprebbe sopravvivere senza il supporto del Palazzo, che teme di affondare se le istanze della Cultura Libera dovessero prendere piede. Ma se il copyleft dovesse affermarsi a scapito della elefantiaca industria tradizionale non sarebbe per incitare le platee all’ammutinamento , né per trasformare tutti i contenuti in contenuti gratuiti. A precisarlo è un portavoce di Creative Commons, sulle pagine di ZeroPaid : “È molto triste che ASCAP sostenga falsamente che Creative Commons lavori per dissolvere il copyright – spiega Eric Steuer – Le licenze Creative Commons sono licenze vere e proprie: senza la base del copyright questo tipo di strumenti non funzionerebbe”. Le licenze CC sono infatti innestate nel quadro del diritto d’autore e dovrebbero potervi convivere senza troppi attriti: nessuno costringe i detentori dei diritti a trarre vantaggio da una più libera circolazione dei contenuti che produce.
Gaia Bottà