La Internet statunitense è al collasso, indifesa di fronte agli attacchi dei cyber-criminali e oggetto di ogni genere di crimine e sopruso (pedoporno, copyright, vessazioni, furto di dati sensibili), almeno è così che la dipingono certi rapporti allarmistici usciti di recente. Le cose però paiono non stare esattamente così, denuncia un recente articolo apparso su Wired , e chi ciancia di cyberwar e corsa agli armamenti tecnologici in realtà lo farebbe nell’interesse suo e dell’azienda misteriosa per cui lavora .
Uno dei principali promotori di questo hype da cyberwar, si legge su Wired, sarebbe l’ex-responsabile dei servizi di intelligence della presidenza Bush: Michael McConnell. Sarebbe stata l’azione di martellante convincimento di McConnell a convincere il presidente USA meno amato di sempre a instillare miliardi di dollari nell’installazione di strumenti difensivi della rete statunitense, e ancora a McConnell si deve la recente proposta di ricostruire Internet dalle fondamenta per meglio proteggere l’infrastruttura e chi la utilizza.
“Abbiamo bisogno di sviluppare un sistema di allarmi preventive in grado di monitorare il cyberspazio, identificare le intrusioni e localizzare la fonte degli attacchi con dovizia di prove”, ha detto McConnell. “Più specificatamente – aggiunge ancora l’ex-funzionario governativo – abbiamo bisogno di reingegnerizzare Internet per far si che l’attribuzione, la geolocalizzazione, l’analisi di dati di intelligence e la valutazione dell’impatto (chi lo ha fatto, da dove, perché e con quali risultati) siano meglio gestibili”.
Archiviata la sua carriera politica, l’uomo che vuole “reingegnerizzare Internet” ora lavora per Booz Allen Hamilton , contractor del governo gestito dall’altrettanto misterioso Carlyle Group che gestisce progetti (molti segreti) dal valore di 5 miliardi di dollari. Visto la sua esperienza con i servizi, non stupisce che McConnell pretenda di investire la National Security Agency di un’opera di supervisione della Rete che non ha sin qui avuto precedenti .
L’interesse di McConnell e di tutte le altre aziende desiderose di partecipare al cyber-riarmo degli Stati Uniti si nutrirebbe dunque di rapporti allarmistici come quello di NetWitness sulla “più grande botnet di sempre”, rivelatasi poi essere poco più che un network malevole di seconda categoria. Giocano a favore dell’hype sulla cyberwar anche le clamorose denuncie degli attacchi nei confronti di Google e delle altre grandi aziende dell’IT, che identificano nella Cina il nuovo nemico da cui l’America deve difendersi nel cyberwarfare del 21esimo secolo.
L’obiettivo è creare un nemico ben identificabile , perché se gli attacchi telematici preoccupano la corsa agli armamenti tecnologici necessità di un obiettivo preciso contro cui dirigere router, firewall, botnet militari e quant’altro le aziende specializzate stiano approntando allo scopo. La volontà di un controllo sempre più stringente della rete è tra l’altro esigenza abbastanza diffusa tra chi si occupa di sicurezza e regolamentazione, prova ne siano le proposte di un maggior interventismo da parte di NTIA, gli inviti ad aumentare gli sforzi difensivi da parte di RSA e Cisco, e la decisione di Lockheed Martin di aprire un nuovo centro specializzato per la sicurezza telematica in grado di rendere l’azienda maggiormente indipendente dal governo nella difesa delle informazioni riservate.
Alfonso Maruccia