Di fronte alla molteplicità di canali di fruizione di contenuti audiovisivi, Nielsen ha voluto vederci chiaro analizzando il consumo negli Stati Uniti, mettendo a confronto la fruizione tradizionale dei contenuti a mezzo TV e l’adozione di nuove pratiche di consumo via streaming e dispositivi mobile.
Dal Cross Platform Report emerge, in prima battuta, un dato fondamentale: nell’arco di un anno (dal 2010 al 2011) i consumatori statunitensi hanno incrementato il tempo trascorso davanti a uno schermo . Nel dettaglio, il tempo passato davanti al televisore è aumento di 22 minuti per persona, segnando una crescita moderata e attestandosi, in generale, come fonte di fruizione primaria.
Lo studio Nielsen ha osservato, in particolare, la relazione tra le diverse piattaforme di fruizione dei contenuti , notando che, sebbene il consumo medio totale sia aumentato, un sottoinsieme di utenti che utilizza il proprio PC per la visione di filmati tende in maniera significativa a non guardare la TV . Tale tendenza emerge, in particolare all’interno del gruppo di età compresa tra i 18 e i 34 anni.
I ricercatori hanno escluso dallo studio gli spettatori che non utilizzano i servizi di streaming, che costituiscono ancora una grossa fetta di pubblico: “più di un terzo dell’audience di TV e Internet non usa lo streaming mentre meno dell’1 per cento non guarda la TV”, si legge sul blog di Nielsen.
Nonostante, fino all’autunno del 2010, i dati rilevati abbiano indicato che i consumatori più tenaci frequentino tutte le piattaforme, un sottogruppo di utenti domestici di TV e Internet ha smentito tale tendenza esprimendo un rapporto inversamente proporzionale tra il consumo a mezzo TV e quello mediante streaming.
Infine, le rilevazioni basate su parametri etnici hanno segnalato che se gli afroamericani fruiscono di contenuti via TV e dispositivi mobile, gli asiatici preferiscono i video online alla televisione. Per quanto concerne la diffusione degli smartphone, gli ispanici si classificano al primo posto (53 per cento), seguiti da asiatici (48 per cento), afroamericani (39 per cento) e, in ultimo, i caucasici al 30 per cento.
Cristina Sciannamblo