San Francisco – 169 giorni. Per 169 volte Josh Wolf avrà sicuramente guardato le sbarre della sua cella di Dublin (San Francisco) e pensato alla Corte Federale che gli sta chiedendo di fornire le sue video-registrazioni su quella manifestazione di protesta del 2005. Lui però sta portando avanti una battaglia per il diritto alla libera informazione, e alla protezione delle fonti e dei materiali di repertorio.
È già diventato una sorta di martire negli Stati Uniti: d’altronde ha battuto ogni record di detenzione per casi di questo genere. Wolf, in qualità di operatore freelance, sta rispettando un’etica “professionale” che i vincoli imposti tramite subpoena non contemplano. La Corte di San Francisco non cede: vuole tutto il materiale riguardante la manifestazione anti-G8 del 2005 avvenuta nel Mission District.
“Josh Wolf è in galera per ognuna di quelle persone che hanno una cam… un block-notes… un microfono”, ha dichiarato David Greene, direttore del First Amendment Project di Oakland. “Non si tratta di un atto egoistico, non ha niente da guadagnare dalla reclusione… Sta combattendo per il diritto della stampa di essere libera”.
L’altro ieri vi è stato l’ennesimo sit-in di giornalisti, politici ed attivisti di fronte al Comune di San Francisco. La città, la comunità online e gli operatori stampa sono in subbuglio, e le critiche ormai sembrano proliferare senza controllo. Ross Mirkarimi , esponente liberal del Consiglio cittadino , ha criticato aspramente il governo federale, l’Amministrazione Bush e il Giudice William Alsup per il comportamento tenuto sul caso. “Sono arrabbiatissimo per il silenzio della politica locale”, ha dichiarato Mirkarimi, insieme ad altri esponenti del Consiglio come Tom Ammiano e Jake McGoldrick presenti al sit-in.
Per l’editore del San Francisco Bay Guardian e il redattore Bruce Brugmann, Wolf è un eroe. “Ma dove siamo in Bulgaria, o forse in Corea?”, ha dichiarato il giornalista. “In tutta la mia carriera non ho mai assistito a niente di simile”.
Julian Davis della Free Josh Wolf Coalition , che è nata proprio per sostenere la causa del giovane freelance, ha più volte sottolineato che non si tratta di una protesta estremista. Tanto più che fra le file del “movimento” sono presenti politici come il Senatore Carole Migden (Dem.) e il Deputato Mark Leno (Dem.); Society of Professional Journalists; American Civil Liberties; National Press Club; Reporters Without Borders; National Lawyers Guild; Media Alliance; The Newspaper Guild/Communication Workers of America e tante altre associazioni.
Wolf, oltre ad essere un freelance e un blogger , lavora full-time come direttore esterno della televisione via cavo del Peralta Community College di Oakland. Ai tempi della manifestazione del luglio 2005 contro il Summit G-8, un poliziotto venne ferito gravemente e qualcuno tentò di appiccare il fuoco ad una macchina della Polizia. I Procuratori, da allora, hanno sempre sostenuto che il Grand Jury deve poter agire per valutare se un crimine è stato commesso. Nello specifico, anche la sola auto incendiata potrebbe essere considerato un crimine federale, dato che la Polizia riceve fondi federali. Il rovescio della medaglia è che i giornalisti non hanno alcun appiglio per rifiutare le richieste del tribunale perché fondamentalmente i diritti in sede di Grand Jury, e in sede di processo ( Petit Jury ), sono diversi.
Wolf è convinto che la questione del veicolo incendiato sia un semplice pretesto. Il problema di fondo, secondo i suoi sostenitori, è che la Giustizia californiana vuole permettere all’FBI di raccogliere informazioni per la Polizia locale con tutti i mezzi: pescando fra i dimostranti e mettendo nell’angolo la stampa indipendente. Secondo l’opinione condivisa fuori dal palazzo “I giornalisti non devono essere cooptati come se fossero un braccio della Legge”.
Un’altra questione è quella sulla professione giornalistica: Wolf, secondo la Legge, è in una zona d’ombra in qualità di freelance. I suoi diritti, quindi, sono ancor di più al centro di dibattito non potendo disporre della protezione ufficiale della “corporazione”. Josh Wolf, dicono i più, è ancora in galera perché non gli è stato riconosciuto il diritto di proteggere il suo materiale, sancito dalla Corte Suprema degli Stati Uniti d’America nel 1972.
Dario d’Elia