Google non solo deve rimuoverlo, ma ne deve prevenire la ricomparsa su tutti i propri servizi online: Innocence of Muslims , il trailer che ha infiammato la rete del Medioriente e che ha scatenato tanto una fatwa quanto la mano pesante su Internet delle autorità dei paesi musulmani, viola il diritto d’autore.
I 14 minuti del trailer, una riproposizione caricaturale della vita di un Maometto dissoluto e dedito alla truffa, aveva scatenato il caos fin dalla sua prima apparizione in Rete, nel 2012. Atti di violenza e richieste di rimozione sfociate in azioni di censura sull’intero YouTube avevano convinto Google a bloccare il video per i netizen dei paesi islamici, nonostante non fosse stata rilevata alcuna violazione delle condizioni d’uso. Era intervenuta persino la Casa Bianca: YouTube avrebbe dovuto adeguare le proprie policy in modo tale da estromettere per sempre la clip. Mountain View non aveva voluto sentire ragioni: il colosso del video sharing proibisce i contenuti che incitino all’odio, ma Innocence of Muslims non si potrebbe classificare come tale e sarebbe perciò da tutelare come una manifestazione della libertà di espressione.
Laddove la diplomazia d’alto profilo ha fallito, ha conseguito il successo un’attrice, tale Cindy Lee Garcia. La donna, reclutata dai produttori del trailer per recitare una parte di 5 secondi , aveva sporto denuncia chiedendo la rimozione dell’opera : sarebbe stata raggirata, e l’adattamento avrebbe trasformato il film in qualcosa di completamente diverso dal prodotto per il quale aveva fornito le proprie prestazioni professionali. La fatwa si era abbattuta anche su di lei, aveva ricevuto minacce di morte, la sua reputazione ne avrebbe sofferto. Si era così appellata al diritto alla privacy, poi aveva fatto leva sul diritto d’autore e ora ha ottenuto quello che i capi di governo non sono riusciti ad ottenere.
Garcia è sorprendentemente riuscita a convincere la corte del fatto che le si debbano riconoscere dei diritti d’autore sulla brevissima performance per cui è stata retribuita 500 dollari, anche se il suo lavoro non ha garantito alcun contributo allo sviluppo creativo dell’opera. Una fattispecie contemplata dalla legislazione statunitense, ma che non sembra essere applicabile nel caso sollevato da Garcia, pagata per eseguire il frammento di un copione: in questo modo, sottolineano gli attivisti di EFF, tutti i produttori cinematografici dovrebbero iniziare a tremare, potenzialmente soggetti alle rivendicazioni di tutti i membri insoddisfatti del cast.
Gioca un ruolo fondamentale nella decisione anche il fatto che Garcia avrebbe concesso una implicita licenza di sfruttamento della propria performance a favore di quello che le era stato presentato come un film d’avventura ambientato nell’Arabia del passato, non a favore di un’opera di bassa qualità , non destinata all’intrattenimento.
Nonostante tutti gli argomenti di Garcia, seppure opinabili, sembrano scagliarsi in primo luogo contro i produttori del film, la corte ha imposto a Google la rimozione di tutte le copie del trailer da YouTube e da tutte le piattaforme che ricadono sotto la sua responsabilità e ha prescritto che “adotti misure ragionevoli per impedirne i caricamenti futuri”. Poco importa, inoltre, che la rimozione dai servizi di Google non implichi affatto la sparizione dell’opera dalla Rete: la corte ritiene che la rimozione da una delle piattaforme online principali sia sufficiente a fare giustizia. Per assicurarsi un pizzico di efficacia in più, l’ordinanza è stata secretata fino alla pubblicazione delle opinioni della corte, in modo che Google potesse procedere al rastrellamento dei contenuti senza che i cittadini della rete si mobilitassero per scaricarne abusivamente delle copie da rimettere in circolazione online.
Google si è piegata all’ordinanza e ha rimosso i video, senza risparmiare una certa acredine nel segnalare le motivazioni della rimozione, e ha già promesso di ricorrere in appello per ribaltare la decisione. Anche uno dei giudici della corte aveva espresso un parere contrario rispetto a quello che ha poi predominato: non basterebbe una flebile rivendicazione in materia di diritto d’autore per imporre a Google la rimozione di un contenuto al centro del dibattito globale, attentando alla libertà di espressione garantita dal Primo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti.
Gaia Bottà