È un brutto quarto d’ora per CloudFlare, azienda specializzata in servizi CDN (Content-Delivery Network) che le major discografiche hanno trascinato nella loro implacabile crociata contro la pirateria musicale sul Web. Una crociata che nel caso in oggetto riguarda Grooveshark, servizio di streaming recentemente abbattuto dalle etichette musicali e poi risorto sotto forma di clone .
Le major, come prevedibile, si sono scagliate anche contro il “nuovo” Grooveshark, ottenendo dai giudici un’ingiunzione riguardante tutti i “facilitatori” ne avessero supportato le attività: tra questi intermediari c’era anche CloudFlare, fornitore di risorse di rete al sito. Il giudice ha ordinato a CloudFlare di disconnettere il nuovo sito di streaming da Internet, una ulteriore ingiunzione scaturita dall’iniziale tentativo del servizio CDN di resistere alla volontà delle major vidimata dal bollino del tribunale.
CloudFlare aveva chiesto di considerare la posizione “neutra” del suo servizio di CDN, un servizio che secondo l’azienda non poteva rientrare nella categoria dei promotori delle attività di Grooveshark 2.0. Non è responsabilità degli intermediari impegnarsi nella difesa d’ufficio del copyright, aveva protestato CloudFlare.
Le rimostranze del CDN sono state però inutili, e il giudice ha costretto il network sia a censurare Grooveshark che qualsiasi altro sito contenente la parola “grooveshark”. Ora però CloudFlare prova almeno in parte a rivalersi contro le major, chiedendo la modifica dell’ingiunzione con l’assistenza della Electronic Frontier Foundation.
Appellandosi a norme come la sezione 512 del DMCA e la sezione 230 del Decency Act , EFF e CloudFlare domandano al giudice di proteggere gli intermediari di rete dalla responsabilità dei loro clienti e di obbligare le major discografiche a rivolgersi direttamente al servizio di CDN, tramite richieste circostanziate, nel caso in cui volessero far disconnettere un sito coinvolto in attività che ritenessero pirata.
Alfonso Maruccia