Il Senato statunitense ha eliminato una norma “segreta” che avrebbe costretto i colossi telematici a vigilare sulla vita online degli utenti e a riferire alle autorità messaggi e contenuti derivanti da presunte attività “terroristiche”. Sarebbe stato un disastro, avevano avvertito aziende e attivisti, e alla fine i politici di Washington hanno desistito – almeno per il momento.
La famigerata Sezione 603 dell’Intelligence Authorization Act (IAA) era stata approvata a porte chiuse, venendo poi bloccata per iniziativa del senatore democratico Ron Wyden in attesa della sua rimozione prima della votazione.
A promuovere la norma era stato un altro politico democratico, la senatrice Dianne Feinstein, invocando il collaborazionismo delle aziende telematiche nel riferire alle autorità federali attività sospettabili di terrorismo.
Il linguaggio usato nella Sezione 603 era però troppo vago e avrebbe portato alla sostanziale impossibilità di rispettare i nuovi obblighi, avevano denunciato in coro i colossi di rete tramite una missiva della lobby industriale nota come Internet Association.
Anche le principali organizzazioni di attivisti avevano espresso le loro preoccupazioni riguardo la Sezione 603, una norma pericolosa per la libertà di espressione e per giunta inutile. Il senatore Wyden aveva definito la lotta al terrorismo una cosa troppo seria per costringere Facebook, Google e compagnia a fare la spia sui propri utenti.
Dopo tante polemiche la Sezione 603 dell’IAA è stata infine eliminata , e almeno per il momento i servizi di rete non dovranno tenere sotto controllo attivo ogni messaggio degli utenti alla ricerca di incitamenti al terrorismo o commenti favorevoli nei confronti dell’Isis.
La voglia di forzare la cooperazione delle corporation di Internet non è però esclusiva delle autorità statunitensi, ed è tutto fuorché un ipotesi: dall’ONU si invoca la collaborazione delle aziende contro l’Is, in Europa si pretende maggiore controllo su Internet e nel solito Regno Unito gli ISP hanno già approntato un sistema di segnalazioni con filo diretto al numero 10 Downing Street.
Alfonso Maruccia