Violare le condizioni d’uso di un servizio online, accedere a MySpace sotto mentite spoglie, farlo innescando conseguenze tragiche non costituisce reato. L’aguzzina di una giovane californiana che, fingendosi un coetaneo, nel 2006 aveva sospinto la ragazzina verso il fondo del vortice depressivo che l’ha condotta al suicidio, è ora stata assolta.
I giudici brancolavano nel vuoto legislativo nel momento in cui si sono trovati a valutare la situazione di Lori Drew. Drew, l’allora quarantenne che ha agito in combutta con la figlia e un dipendente, si era presentata a mezzo MySpace alla 13enne Megan Meier come un giovane fidato e comprensivo. Avevano intessuto una relazione online che era progressivamente sfociata in angherie e umiliazioni. La giovane Meier, già fragile, non aveva retto alle molestie e alle crudeltà inferte dai tre oltre lo schermo e si era suicidata. L’evento aveva colpito nel vivo l’opinione pubblica più diffidente nei confronti della rete, la giustizia si era messa in moto.
La corte locale si era dimostrata impotente: non disponeva degli strumenti necessari per giudicare la posizione della donna; Internet, spiegava il giudice locale, era un ambiente ancora poco regolato. Il caso era così stato trasferito presso una corte federale di Los Angeles: il giudice aveva formalizzato un’accusa piegando il Computer Fraud and Abuse Act del 1986 a ricomprendere la fattispecie del caso Drew, considerando legge le condizioni di utilizzo di MySpace. Drew utilizzato MySpace con un’identità falsa: poiché i ToS del social network non ammettono pseudonimi, si sarebbe potuto accusare la donna di aver violato le condizioni d’uso del social network e quindi di aver fatto accesso ai server di MySpace in maniera fraudolenta .
Il caso di Drew era stato analizzato dalla corte, si erano prese in considerazione le attenuanti, si era riconosciuto che la donna non si sarebbe aspettata che il proprio atteggiamento danneggiasse a tal punto la giovane Meier: sul capo di Drew pendevano una sanzione pari a 300mila dollari e una pena di tre anni di carcere.
Nonostante le accuse nei confronti di Drew, il procuratore aveva rassicurato i cittadini della rete che denunciavano come il Computer Fraud and Abuse Act sarebbe potuto diventare uno strumento adattabile e capace di abbattersi su tutti coloro che avessero distrattamente violato le condizioni di utilizzo di qualsiasi servizio online. Le autorità avevano spiegato che la legge anticracking era stata imbracciata in combinazione con le condizioni di utilizzo di MySpace solo per assicurare alla giustizia la protagonista dell’episodio di cyberbullismo: nessuno dei netizen che si fosse registrato a MySpace sotto mentite spoglie sarebbe stato perseguito se non si fosse macchiato di qualche tipo di crimine.
Ora il giudice George Wu ha deciso per l’ assoluzione di Drew. Nel corso dei prossimi giorni compilerà il documento con cui giustifica il verdetto e sarà possibile sapere se la sentenza è di natura definitiva. Le motivazioni alla base del cambio di fronte sarebbero quelle che hanno spinto associazioni quali EFF a intervenire : decretare che la violazione delle condizioni d’uso di un servizio implichi una violazione della legge rappresenta un rischio per migliaia di cittadini della rete, che tendono a proiettarsi nei servizi senza prima aver consultato avvertenze e raccomandazioni. “Questo tipo di condotta – ha osservato lo stesso giudice Wu – è pratica comune per milioni e milioni di persone”: per questo motivo, ha spiegato , “Si potrebbe perseguire praticamente chiunque che abbia violato le condizioni d’uso”.
Ma il vuoto normativo che ha spinto le corti a far assurgere a legge i Terms Of Service potrebbe presto essere colmato: il mondo politico statunitense ha prontamente reagito alla vicenda di Drew proponendo severi giri di vite nei confronti degli abusi perpetrati con la mediazione della rete.
Gaia Bottà