È una vicenda che potrebbe costituire un significativo precedente, specie nell’ormai intricato rapporto tra ambienti di lavoro e social network . A muoversi con decisione sono stati gli alti rappresentanti della National Labor Relations Board statunitense, contro una società legata ai servizi di pronto soccorso, l’ American Medical Response of Connecticut .
Al centro delle accuse il licenziamento di un’assistente medico, reo di aver insultato i suoi supervisori in un post apparso sul proprio profilo Facebook . Dawnmarie Souza era stata precedentemente invitata a spiegare alcuni comportamenti tenuti in servizio, dopo le accorate lamentale di un paziente. La richiesta non era stata presa bene dalla donna.
Dawnmarie Souza si era dunque sfogata su Facebook, sentendo puzza di licenziamento. Pesanti epiteti erano volati online, contro un supervisore descritto come una persona bisognosa di ricovero psichiatrico. Alcuni colleghi si erano trovati perfettamente in linea con il suo pensiero, con una serie di mi piace e commenti sul sito in blu .
Un mi piace non certo garantito dallo stesso supervisore, che aveva licenziato la donna per i suoi comportamenti sul lavoro, ma anche per aver violato le policy interne in materia di social networking . Ovvero regole che vietano ai dipendenti di esprimersi in maniera così esplicita sui propri profili elettronici.
Un’attività invece consentita dalle leggi federali sul lavoro, almeno secondo i vertici di NLRB. Tutti i dipendenti avrebbero dunque il diritto di parlare tra loro – anche in maniera negativa – della propria condizione o dei propri supervisori. Il fatto che ciò sia avvenuto online non costituirebbe alcuna differenza . In ballo ci sarebbe anche la tutela del Primo Emendamento della Costituzione a stelle e strisce.
Mauro Vecchio