New Orleans – Si ritorna a parlare di censura dei videogame violenti negli Stati Uniti, anche se questa volta la notizia è tutta a favore dell’industria dell’intrattenimento interattivo e dei teenager appassionati del grandguignolesco e delle scene concitate da battaglia a portata di joypad: il giudice federale della Louisiana, nell’ambito della controversa legge di proibizione della vendita dei “killer game” (come li chiamano in Germania ) agli under-18, ha stabilito definitivamente l’inapplicabilità dell’interdizione .
Approvata dallo Stato della Louisiana nel corso del giugno scorso e realizzata in collaborazione con il paladino delle famiglie Jack Thompson , la legge HB1381 prevedeva la criminalizzazione della vendita dei giochi dai contenuti forti a chi ancora non avesse raggiunto la maggiore età. Dopo aver subito un primo stop temporaneo questo agosto da parte del giudice James Brady, l’iniziativa viene ora definitivamente arrestata dallo stesso Brady.
Nel tentativo di rendere più convincente la proposta, Thompson e il Repubblicano Roy Burrell si erano dati un gran da fare nel tentativo di provare il nesso esistente tra la violenza reale e quella simulata dalle elaborate scene 3D dei videogame di ultima generazione. Inoltre, HB1381 ha adattato il test di Miller ai videogiochi per stabilire il grado di oscenità di taluni titoli , proibendo la loro vendita ai minori nei casi in cui:
– attraggano il morboso interesse dei giovani nei confronti della violenza secondo gli “attuali standard della comunità”;
– dipingano la violenza in maniera inappropriata nei confronti dei minori secondo “gli standard prevalenti” nella comunità degli adulti;
– non presentino adeguate caratteristiche di “serio valore letterario, artistico, politico e scientifico” per gli adolescenti.
Per tutta risposta, il giudice Brady ha valutato poco convincenti le tesi proposte : già all’epoca del primo diniego di applicazione della legge aveva scritto che “L’evidenza che è stata sottoposta alla Corte in connessione con la legge è scarsa e difficilmente potrebbe essere considerata affidabile in qualche senso”. Altrettanto aleatori, secondo il giudice, erano i tentativi di connessione tra violenza reale e virtuale, a suo dire “vaghi e tendenziosi”.
La sentenza ha fatto naturalmente infuriare l’avvocato Thompson, che ha definito il giudice federale “nel migliore dei casi incompetente e nel peggiore compromesso”.
Diversamente dal forsennato legiferare e censurare promosso da Thompson, negli States c’è chi affronta il connubio teenager-videogiochi violenti da un altro punto di vista: il National Institute on Media and the Family è convinto che sia giunto il momento per i genitori di ristabilire il loro ruolo educativo e salvaguardare gli angioletti di casa dai giochi cattivi pieni di sesso, violenza, droga e rock’n’roll.
In occasione della pubblicazione dell’undicesimo rapporto annuale sui videogame (disponibile per il download sulla homepage), l’associazione indica ai disattenti educatori familiari una lista dei “10 giochi cattivi più cattivi”, che dovrebbero essere assolutamente vietati ai bambini e ai teenager. La guida cita titoli del calibro di Scarface, Gangs of London, GTA: Vice City Stories e l’ultimo Mortal Kombat: Unchained. Tutti i giochi citati sono comunque già distribuiti con la classificazione M-rated, e possono quindi essere venduti solo a chi abbia raggiunto almeno i 17 anni di età.
David Walsh, presidente dell’istituto, ha accolto con favore gli sforzi dei grossi store generalisti come Wal-Mart e Best Buy nel tentativo di impedire l’acquisto dei suddetti giochi ai ragazzi , e ha dimostrato di apprezzare anche i meccanismi di parental control integrati nelle console di ultima generazione dai produttori. “La buona notizia è che finalmente funzionano”, ha commentato a riguardo Walsh.
Ciò che emerge con forza, come accennato, è la volontà di stabilire le reali responsabilità educative dell’ambito familiare, piuttosto che demonizzare il media videogioco tout court . Una lezione che forse potrebbe essere utile anche ai legislatori italiani, molto attenti quando si tratta di imbastire processi sommari in risposta al giornalismo sensazionalistico di certa stampa generalista, ma poco accorti a focalizzare i tentativi di regolamentazione laddove essi siano davvero necessari.
Alfonso Maruccia