Dopo aver imposto restrizioni all’ esportazione di hardware informatico , i burocrati di Washington mirano ora a fare lo stesso con gli strumenti software utilizzabili nell’ambito della cyber-sicurezza. Il rischio è però di danneggiare il lavoro degli stessi ricercatori.
La proposta arriva dal Bureau of Industry and Security (BIS) del Dipartimento del Commercio, e prevede l’obbligo di avere una licenza specifica per l’esportazione di software utilizzabile nell’ambito dell’analisi delle comunicazioni di rete o della “penetrazione” dei sistemi informatici.
Il BIS propone di modificare l’ accordo di Wassenaar , un elenco di prodotti e tecnologie la cui esportazione fuori dagli USA risulta limitata e che viene modificato annualmente; i paesi appartenenti al gruppo noto come “Five Eye” (Australia, Nuova Zelanda, Canada, Regno Unito) sarebbero invece sottoposti a restrizioni meno stringenti.
La proposta del BIS dovrà ora attendere un periodo di due mesi in cui i soggetti interessati avranno modo di commentare gli effetti della mossa, e prevedibilmente i primi, allarmati pareri sulle conseguenze potenzialmente disastrose delle nuove restrizioni sono già arrivati , ad opera dei ricercatori di sicurezza.
La definizione dei tool software da inserire nella lista Wassenaar è troppo generica, denunciano i suddetti ricercatori, e potrebbe portare a danni notevoli sul fronte della cyber-sicurezza: si ripeterebbe insomma lo stesso errore fatto negli anni ’90 con le tecnologie crittografiche, un errore le cui conseguenze l’intera industria deve affrontare ancora oggi .
C’è poi da considerare il comportamento delle aziende hi-tech costrette a fare i conti con le nuove restrizioni, aziende che già oggi mal digeriscono i limiti imposti alle esportazioni di prodotti tecnologici come nel caso delle ultime sanzioni contro la Russia e i presunti affari in nero di Cisco .
Alfonso Maruccia