Si tratta di una sentenza che autorizzerà i vari datori di lavoro a stelle e strisce a frugare tra i messaggi di testo inviati dai propri impiegati, soprattutto se sicuri (o quasi) dell’ avvenuta violazione delle regole interne . Basta dunque il sospetto, almeno secondo la Corte Suprema degli Stati Uniti.
Che ha recentemente ribaltato la precedente decisione di una corte d’appello californiana, espressasi in favore del sergente SWAT Jeff Quon. Quon aveva infatti fatto causa nel 2004 alle autorità della città di Ontario, nonché ai vertici del suo dipartimento.
E aveva vinto, quattro anni dopo, quando un giudice californiano stabiliva l’avvenuta violazione dei principi del Quarto Emendamento . I superiori del sergente Quon si erano infatti appellati alle autorità cittadine per controllare alcuni SMS inviati dal suo cercapersone.
Messaggi di testo dal forte sapore erotico , alcuni destinati alla moglie del sergente Quon, altri alla sua amante. L’invio dei messaggi era stato comunque pagato regolarmente dall’uomo, dal momento che il suo dipartimento aveva fissato un tetto massimo di 25mila caratteri inviabili al mese .
I supervisori si erano però scocciati di raccogliere ogni mese i soldi, per poi rigirarli alla città e all’operatore Arch Wireless . Così come non avevano affatto gradito l’eccessivo zelo del sergente nel giostrarsi fra tasti e paroline piccanti, soprattutto perché in servizio.
La Corte Suprema ha ora dato ragione alle autorità cittadine e al dipartimento tutto, sottolineando come il contenuto dei messaggi (e la tutela della privacy) sia una questione a margine. In ballo ci sarebbero invece le regole che vigono sul posto di lavoro , dal momento che l’affidamento dei cercapersone non dovrebbe sconfinare in pagamenti extra. E soprattutto in intrattenimenti pruriginosi.
Mauro Vecchio