Accennare all’esistenza di pornografia infantile online, far riferimento a presunte immagini di abusi e invitare altri utenti ad accedervi, sbandierarne il possesso è reato. La Corte Suprema degli Stati Uniti ha ripescato e riabilitato parte di una legge approvata nel 2003, mirata a combattere il traffico online delle immagini degli abusi: un provvedimento considerato necessario per debellare il concetto stesso di pedopornografia.
“Offrirsi di fornire delle immagini pedopornografiche o richiedere delle immagini pedopornografiche non è un diritto contemplato dal Primo Emendamento della Costituzione Americana” ha annunciato Antonin Scalia, uno dei membri della Corte Suprema, che ha riesaminato il caso di un uomo accusato di aver spacciato per pedopornografiche immagini che non si sono rivelate tali.
Parlare di immagini di questo genere non è da considerarsi una manifestazione della libera espressione. Anche se l’immagine di abusi sui minori di cui si parla non è mai esistita . Per questo motivo la legge promossa dal Congresso anni or sono non entra in conflitto con la Costituzione, per questo motivo chiunque parli di immagini pedopornografiche, spacci pedopornografia apparente, dichiari a qualcuno di possedere delle immagini che ritraggono abusi su minori può essere trascinato in tribunale e punito. “Il reato è rappresentato dalle parole con cui si propone di vendere o scambiare del materiale illegale” riassume un legale che plaude alla reintroduzione della legge.
La Corte Suprema impone un tabù, rimuove dal vocabolario dei cittadini statunitensi delle parole imbarazzanti, problematiche. Parole che di per sé non costituiscono un abuso ma che evocano e celano in sé atti intollerabili . La decisione della Corte Suprema scaturisce da anni di intensa discussione: questo specifico “nodo” era parte di una legge del 2003 , il PROTECT Act ( Prosecutorial Remedies and Other Tools to end the Exploitation of Children Today ). La disposizione primigenia della legge, oltre a punire coloro che producessero o diffondessero immagini di abusi apparenti che l’imputato non riuscisse a dimostrare di aver creato al computer, prevedeva la punibilità di coloro che tentassero di promuoverne la diffusione. Un dettaglio che era stato successivamente bocciato in tribunale: sarebbe stato incompatibile con il dettato costituzionale punire un cittadino che avesse espresso delle parole che non hanno alcun fondamento nella realtà.
Ma il giudice Scalia ha trovato una scappatoia, ordendo un complesso stratagemma lessicale per contrastare un crimine che “colpisce irreparabilmente i più indifesi fra i nostri cittadini” e che “prolifera attraverso questo nuovo medium che è Internet”: sostenere di detenere un’immagine pornografica può essere considerato reato. “Chiunque consapevolmente pubblicizzi, promuova, presenti, distribuisca o richieda” quello che sostiene essere materiale proibito dalla legge può essere trascinato in tribunale, anche in assenza del materiale stesso, anche se il materiale si riveli essere di natura innocua o non coinvolga alcun minore.
Il giudice assicura che l’applicazione della legge sarà estremamente elastica , che nessuno verrà punito per aver chiesto ad un amico in chat quell’immagine così tenera del figlio mentre fa il bagnetto, che recensori di film siano accusati di promuovere materiale pedopornografico qualora propongano agli utenti un documentario dedicato ad indagare lo sfruttamento sessuale dei minori. Sono “ipotesi fantasiose”, a parere del giudice Scalia, quelle che suscitano certe preoccupazioni: coloro che promuovono le immagini devono essere convinti di spacciare pedopornografia, coloro che richiedono le immagini devono essere convinti di ricevere pedopornografia, non semplici immagini che raffigurano minori.
Ma i due giudici della Corte Suprema che hanno votato contro l’approvazione del provvedimento si sono dichiarati insoddisfatti e preoccupati: hanno chiesto che il fatto di promettere un’immagine che coinvolge dei minori, senza detenerla, venga punito come semplice frode. Il fatto che una persona possa descrivere in termini equivoci delle immagini non può, a loro parere, costituire un reato che rischia di trasformarsi in uno stigma indelebile, senza che a monte vi sia stata alcuna violenza, senza che l’accusato abbia contribuito ad alimentare gli abusi.
Gaia Bottà