Negli States non si parla d’altro: i professionisti americani sono in allarme per una pratica via via più diffusa alle dogane americane, quella di sequestrare temporaneamente i portatili dei viaggiatori in arrivo o in partenza e di sottoporli ad ampie analisi dei contenuti.
La Association of Corporate Travel Executives , ACTE ha diramato un allarme a tutti i propri soci secondo cui “con le attuali leggi americane, agenti governativi possono sequestrare e analizzare il computer portatile di un viaggiatore, i suoi dischi e altri media elettronici quando arriva negli Stati Uniti da un volo internazionale o parte dagli Stati Uniti verso un altro paese”.
Le nuove norme non riguardano solo gli americani ma qualunque persona si trovi ad attraversare la frontiera con strumenti e memorie elettronici.
Di suo ACTE informa i propri soci perché, come ovvio, nei portatili che portano con sé possono trovare posto delicatissime informazioni aziendali o dati personali sensibili, documenti e contenuti che il viaggiatore non ha intenzione di divulgare a chicchessia. Un sondaggio lampo eseguito da ACTE sui propri soci in missione a Barcellona per un convegno, indica che tutti ritengono necessario rivedere ampiamente il numero e la tipologia dei file conservati nei propri computer, onde evitare di disseminare informazioni preziose o preziosissime.
“La notizia secondo cui i funzionari governativi americani hanno il diritto di esaminare e scaricare i contenuti di un portatile o persino sequestrare i computer business dei viaggiatori – accusa il direttore esecutivo di ACTE, Susan Gurley – è una sorpresa per la maggioranza dei nostri soci. Fin qui si è sempre pensato al diritto alla privacy per il computer personale. Ma ora si apprende che di privacy non ce n’è alcuna”.
Questa situazione sta ora suscitando ulteriore clamore dopo un articolo pubblicato dal New York Times in cui da un lato viene spiegato come questi sequestri siano “rari”, ma dall’altro vengono fatti emergere episodi inquietanti, come quello di una professionista che ha atteso un anno prima di vedersi restituire il portatile .
Secondo Tim Kane, un legale di Washington che si sta occupando della cosa per alcuni clienti incappati nel sistema di controllo a tutto tondo attivato alle frontiere, i funzionari di dogana “non hanno alcun bisogno di un motivo plausibile per effettuare queste perquisizioni, stando alla legge attuale. Lo possono fare anche in assenza di sospetti e anche senza rivelare i motivi per cui lo fanno”.
Tutto questo è ben lontano dall’essere una novità: già lo scorso luglio un tribunale ha pronunciato una sentenza a favore di questo genere di interventi spiegando che possono avvenire “senza causa plausibile, sospetto ragionevole o mandato del magistrato”. Ma va detto che in quel caso il giudice si occupava di un laptop nel quale i funzionari avevano individuato immagini di pornografia infantile. In un altro caso, in California, un altro magistrato ha invece ritenuto che perché si effettuino queste perquisizione vi deve essere quantomeno un “ragionevole sospetto”. Le norme di cui si dibatte sono quelle che prevedono una eccezione giuridica per le attività di dogana: perquisizioni che altrove non possono essere eseguite, alla frontiera possono avere luogo per ragioni superiori di sicurezza nazionale .
Per le imprese, ma il problema tocca da vicino anche i privati, uno degli effetti potenzialmente più disastrosi di questa policy antiprivacy è che i sequestri dei portatili possono di fatto togliere alla disponibilità dei diversi soggetti le informazioni che contengono. Una sottrazione di dati, spiega ancora ACTE, che si può risolvere solo con metodi empirici, come spedirsi le informazioni in forma cifrata via email prima di mettersi in viaggio.
Ma il timore di molti è che la possibilità di intervenire a proprio piacimento e senza ragioni apparenti possa portare alla manomissione di dati delicatissimi . Secondo Gurley “il problema è cosa succede alle informazioni proprietarie business che possono trovarsi su un portatile. Quei dati vengono copiati? Vengono restituiti? Comprendiamo che il Governo americano voglia proteggere i propri confini. Ma vogliamo avere informazioni trasparenti in modo tale che i viaggiatori d’affari sappiano come comportarsi. Dovrebbero lasciare a casa le informazioni più importanti?”. A suo dire “dobbiamo informare al meglio i viaggiatori d’affari su come funzionano questi eventi e cosa accade se i loro portatili vengono sequestrati e così i loro dati… cosa succede al laptop, come riottenerlo”.
Se per un professionista o un business traveler vi sono procedure che vanno adottate per tutelare informazioni delicate, per i viaggiatori comuni la questione potrebbe rivelarsi molto più pesante : il portatile, compagno sempre più frequente degli spostamenti dei turisti, spesso e volentieri contiene lettere, fotografie, documenti personali e una quantità di altri materiali. Per non parlare di altri media, come i vari iPod e dispositivi mobili, che sebbene non vengano citati esplicitamente nei casi portati in tribunale, grazie alle ampie capacità di memoria possono contenere un sempre maggior numero di informazioni, e diventare così di interesse per la dogana USA. L’idea che portare con sé questi dispositivi arrivando negli USA possa significare perderli, è probabile che spinga molti a cambiare abitudini. Nel nome della sicurezza.