Dare un volto agli indirizzi IP rastrellati dall’industria dei contenuti presso i circuiti del P2P? Inviare missive e avvertimenti agli sciagurati netizen che abusano della propria connessione? Nulla di nuovo per i provider statunitensi. AT&T ha avviato una sperimentazione gomito a gomito con la RIAA, Cox e Comcast collaborano da tempo con i colossi dei contenuti. Da negoziare sembra esserci solo la disciplina delle sanzioni.
RIAA aveva ammesso di accarezzare l’idea: non più processi, non più mediazioni da parte delle autorità, fine al dispendio di energie in burocrazia e scartoffie, nessuna necessità di bilanciare deterrenza nei confronti dei netizen e ricadute sulla propria immagine . L’industria della musica aveva mostrato l’intenzione dichiarata di coinvolgere i provider nel contrasto alla pirateria, di delegare loro l’onere di agire nei confronti degli utenti che si intrattengano con dei contenuti sfuggendo alla remunerazione del detentore dei diritti.
Le negoziazioni erano cominciate nei mesi scorsi. L’industria della musica statunitense ha ora annunciato l’ avvio delle sperimentazioni : AT&T , che non aveva negato di essere disposta a mettersi in campo al fianco dell’industria, è parte di un progetto pilota. Riceverà le segnalazioni inoltrate dalle major, segnalazioni frutto di pattugliamenti sulle reti P2P e dell’accumulazione di indirizzi IP di abbonati pirata. Identificherà il nome dell’utente che si cela dietro all’indirizzo IP e diramerà comunicazioni e avvertimenti.
Così come sta avvenendo nel Regno Unito, l’accordo è frutto di una trattativa fra privati : ISP volenterosi e detentori dei diritti. Così come è stato proposto nel Regno Unito, la sperimentazione statunitense si dovrebbe tradurre in una dottrina Sarkozy senza ghigliottine. AT&T lo ha assicurato: “in nessuna circostanza – ha spiegato il dirigente dell’ISP Jim Cicconi – sospenderemo o concluderemo la fornitura di un servizio sulla base di un’accusa che provenga da terze parti”. Il provider si limiterà a ricordare all’utente che è stato colto sul fatto mentre si intratteneva in un’attività illegale: nel contratto firmato dall’utente è previsto che il provider possa disconnetterlo qualora violi la legge. Ma, ricorda Cicconi, è l’autorità giudiziaria che deve appurare la colpevolezza.
Nessuna disconnessione, dunque: i provider non si inimicheranno i propri utenti, l’industria non perderà fette di mercato a cui somministrare contenuti mediati dalla rete, i netizen non dovranno rinunciare al diritto ad esprimersi e ad informarsi online. Questo è quanto promette AT&T: RIAA sembra aver accettato il cambio di programma rispetto alle ghigliottine a cui sembrava aspirare. Un regime del genere dovrebbe in ogni caso assicurare la cessazione del comportamento della maggior parte dei downloader che attingono ai calderoni di contenuti senza retribuire i detentori dei diritti.
Ma AT&T non è il solo operatore a collaborare. Cooperano con le major anche Comcast e Cox . Ma ciò non rappresenta una novità : Comcast invia comunicazioni da anni e rifiuta di disconnettere; Cox dirama avvertimenti, confina gli utenti recidivi entro steccati alla navigazione, si rende disponibile a discutere delle violazioni segnalate. E finora ha disconnesso solo lo 0,1 per cento dei propri utenti.
Negli States i maggiori provider si mostrano collaborativi con i colossi dei contenuti. Ma la situazione si configura diversamente altrove . Se in Italia gli ISP mostrano di voler difendere il proprio status di meri intermediari, in Australia iiNet ha sostenuto di fronte ad una corte il proprio diritto a non agire come giudice e boia nei confronti dei propri utenti. Il provider era stato accusato di aver agevolato le violazioni del diritto d’autore per non aver minacciato le disconnessioni . Rifiutava di agire nei confronti degli abbonati, a meno che non fosse intervenuta l’autorità giudiziaria. Ora si sta difendendo in tribunale: se l’industria dovesse provare l’avvenuta violazione, iiNet si troverebbe costretta a far calare la lama sulla connettività.
Gaia Bottà