Un caso di cronaca nera finito in tribunale e archiviato come “morte naturale” nel primo grado di giudizio, sentenza che potrebbe essere messa in discussione da certe ricerche effettuate su Google da parte di un’imputata. I giudici della Florida potrebbero infatti decidere di riconsiderare la posizione di Casey Anthony, accusata di aver procurato la morte per soffocamento della figlia di due anni.
Il ruolo della donna potrebbe essere rimesso in discussione dopo che gli agenti di polizia hanno rintracciato nel computer domestico della famiglia Anthony ricerche relative ai “metodi infallibili per il soffocamento”, effettuate nell’ultimo giorno in cui la bambina è stata vista viva.
Secondo la linea sostenuta dalla difesa, la bambina sarebbe morta per annegamento, una versione che ha convinto i giudici nonostante la madre sia stata dichiarata colpevole di aver fornito false informazioni agli agenti di polizia. Nel corso del processo, i testimoni dell’accusa hanno anche dichiarato che il computer di casa Anthony sarebbe stato utilizzato per compiere ricerche che riportavano diverse parole o frasi sospette, tra cui “cloroformio”, “trauma del petto”, “emorragia interna”, “come ottenere il cloroformio”, “rottura del collo”.
È solo uno degli ultimi casi in cui la cronologia delle ricerche online diventerebbe una prova di un caso di omicidio . In questa vicenda , tuttavia, la sentenza di assoluzione sarebbe arrivata anche perché la polizia avrebbe rintracciato in ritardo sulla tastiera del PC le impronte digitali corrispondenti a quelle dell’imputata.
L’errore, che ha fatto rimandare la raccolta delle impronte digitali, sarebbe stato compiuto proprio dalle forze di polizia, che hanno controllato in principio solamente le operazioni effettuate attraverso Internet Explorer mancando di verificare le ricerche effettuate con Firefox , usato da Casey Anthony.
Secondo i pubblici ministeri, la bambina sarebbe stata avvelenata con il cloroformio e successivamente soffocata con il nastro adesivo posto sulla bocca e sul naso.
La donna, accusata di aver aiutato il marito nell’omicidio della loro figlia, ha spiegato di aver effettuato ricerche relative alla “clorofilla” e di essersi imbattuta per sbaglio nella parola “cloroformio”.
Cristina Sciannamblo