Il Senato degli Stati Uniti ha votato una risoluzione che punta a diminuire le salvaguardie introdotte dalla precedente amministrazione a tutela dei dati personali degli utenti online.
In particolare, la nuova disposizione normativa stralcia quanto previsto dal regolamento adottato dalla Federal Communications Commission sotto l’ex-presidente Obama, ovvero l’obbligo da parte degli Internet Service Provider di ottenere l’autorizzazione dei propri utenti prima di poter vendere a terzi i dati sensibili in loro possesso, come per esempio la loro cronologia di navigazione: in maniera molto sintetica e definitiva, la risoluzione del Senato “disapprova il regolamento adottato dalla FCC relativo alla Protezione della Privacy degli Utenti delle telco e degli altri servizi di telecomunicazioni e pertanto esso non deve avere forza ed effetto”.
In questo modo non solo vengono stralciate le regole finora adottate, ma se la risoluzione dovesse essere confermata dal Congresso, ultimo passaggio dell’iter per entrare in vigore, la FCC non potrebbe neanche predisporre ulteriori misure analoghe in futuro che perseguano i medesimi obiettivi.
D’altra parte
secondo i Repubblicani e i lobbisti delle telco, tali tipi di regolamenti colpiscono in maniera ingiusta gli Internet Service Provider, impedendogli di trasformare le informazioni personali in dati utili per l’advertising targettizzato (o per altri utilizzi profittevoli) come invece possono fare aziende come Google e Facebook.
Nonostante tali giustificazioni non sono naturalmente mancate le critiche immediate alla misura, vista come un’intollerabile privazione di diritti alla privacy e un regalo alle lobby delle stesse aziende favorite dal cambio di rotta adottato dal nuovo vertice di FCC voluto da Trump, Ajit Pai, ostile ai principi della net neutrality e sostenitore della deregolamentazione del settore.
Neema Singh Guliani di ACLU ( America Civil Liberties Union ) ha parlato di “incredibile disappunto” e di una votazione che “sacrifica i diritti alla privacy degli Americani sull’altare della protezione dei profitti delle grandi aziende ICT, tra cui Comcast, AT&T e Verizon”; sulla stessa linea anche EFF ( Electronic Frontier Foundation ) che ha lanciato un vero e proprio appello a chiamare i propri rappresentanti al Congresso per fermare la votazione definitiva della riforma che cancellerebbe il dovere alla protezione della privacy da parte degli ISP.
Claudio Tamburrino