Le autorità federali degli Stati Uniti hanno arrestato Ali Saleh, un 22enne del Queens, con l’accusa di aver agito per entrare a far parte dell’ISIS attraverso Twitter.
A mettere nei guai il ragazzo, cittadino degli Stati Uniti e – afferma – con una famiglia nello Yemen, il retweet del messaggio di un altro utente in cui questo affermava di essere “Pronto a morire (per l’ISIS)…la prigione è niente”. Una testimonianza delle sue simpatie, ma anche della serietà con cui le forze degli ordini degli Stati Uniti vedono la comunicazione attraverso social media, soprattutto quando legata alla sfera del terrorismo.
A partire dallo scorso anno il Dipartimento della Polizia di New York, parte del New York Joint Terrorism Task Force , ha d’altra parte intensificato la sorveglianza sui social media con l’obiettivo di contenere il reclutamento dei gruppi terroristici all’estero e di individuare i lupi solitari: il problema resta distinguere le vuote minacce dai reali pericoli, anche perché le forze dell’ordine non si possono certo permettere di arrestare ( come in passato in alcuni casi al limite) chiunque si permetta di ritwittare messaggi più o meno controversi. Si tratta, dunque, in ogni caso di prove che si aggiungono alle indagini condotte.
Nel caso in questione, secondo quanto riferisce l’agente speciale dell’FBI Bret Luhmann, Saleh aveva cercato fin dal 2013 di mettersi in contatto con l’ISIS ed i suoi uomini stanziati in Siria attraverso Twitter e questo gli sarebbe costato le attenzioni delle forze dell’ordine ed ora le accuse di aver “volontariamente e coscientemente” fornito risorse e materiali di supporto allo Stato Islamico.
In realtà oltre a questo, ai danni di Saleh hanno giocato i suoi tentativi di raggiungere fattivamente il Medioriente: lo scorso anno aveva prenotato un primo volo per Istanbul dall’aeroporto Kennedy di New York ma gli era stato negato l’imbarco. Dopo qualche giorno aveva ritentato immediatamente con un nuovo volo, stavolta dall’aeroporto di Newark. A poco sono valse anche le sue giustificazioni legate a familiari nello Yemen: lo stesso giorno in cui ha prenotato il volo per Istanbul, Saleh ha retwittato un altro messaggio in cui si leggeva “È chiaro che i musulmano del khilafah (traslitterazione dell’arabo per “califfato”) hanno bisogno di aiuto. Chi può ed è in grado deve andare ed aiutare i Musulmani”.
Claudio Tamburrino