Nelle ultime ore Joe Biden ha tuonato: “sono capitalista, non sono socialista, ma il capitalismo senza concorrenza è solo sfruttamento“. Nulla di nuovo, visto che già a inizio anno il Presidente degli Stati Uniti affermava il concetto: “l’ho detto in passato e lo ripeto, il capitalismo senza concorrenza non è capitalismo. Questo è ciò che vediamo adesso nell’industria della carne e del pollame, dove piccoli allevatori indipendenti vengono espulsi dal mercato“. Ma quel che succede nell’industria della carne è per certi versi quel che succede nell’industria tecnologica, emblema primo di un capitalismo che troppo spesso è autotutela e che, nonostante le normative antitrust, premia in modo spropositato le rendite di posizione di gruppi che troppo facilmente conquistano mercati paralleli ingrossando i bilanci dei rispettivi brand.
La proposta prende il nome di American Innovation and Choice Online Act e chiama in causa Apple, Google, Meta, Amazon e molti altri ancora: impossibile pensare che di fronte ad una iniziativa di questo tipo non possano sollevarsi fiere resistenze di cui si parlerà a lungo.
Rendite di posizione, immobilismo, concentrazioni di capitale: non sono questi i principi a cui può attingere un sano capitalismo, poiché deleteri per quel dinamismo che invece la storia degli USA dovrebbe ispirare. Gli Stati Uniti vogliono di nuovo attingere a quei principi primordiali sui quali il sogno americano è stato costruito, evitando di cronicizzare l’autocelebrazione di un oligopolio che rischia di soffocare il sistema e sterilizzarne le ambizioni.
Il capitalismo senza concorrenza
Nasce dunque da questo principio la proposta di una commissione bipartizan, ampiamente appoggiata dalla Casa Bianca, con cui si intende avviare una riforma che imponga ai grandi della tecnologia la non-discriminazione di altri servizi rispetto a quelli propri. Ciò dovrebbe portare a piattaforme che tendono di meno ad ampliarsi e fagocitare tutto al proprio interno, poiché verrebbero meno le discriminanti antitrust in cui fino ad oggi Big Tech ha saputo districarsi. Semplicemente, un grande gruppo tecnologico non avrà più la possibilità di favorire un prodotto proprio rispetto ad un prodotto concorrente. Google non potrà dunque favorire le proprie mappe rispetto a quelle altrui, Amazon non potrà offrire la vetrina del marketplace ai propri prodotti, Meta non potrà favorire i social network del gruppo rispetto a quelli rivali, eccetera.
Le modalità che prenderanno forma dipenderanno dai dettagli della normativa, ma l’impatto potrebbe essere estremamente importante. La proposta avrà ora un complesso iter verso l’approvazione, ma la sensazione è che ci siano motivi d’urgenza che stanno contribuendo a spingere sull’acceleratore. Da una parte vi sarà la pressione delle lobby, dall’altra v’è un voto bipartizan: il braccio di ferro si presuppone teso, ma per gli Stati Uniti è questa una scelta fondamentale che andrà a definire gli equilibri di mercato del prossimo decennio. Sia tra i polli che nella tecnologia.