Nemmeno il tempo di festeggiare per l’endorsement di Sua Maestà che Zoom si trova oggi a dover fare i conti con un’altra grana: alcuni esponenti della politica e delle istituzioni statunitensi hanno inviato una lettera ai vertici della società chiedendo delucidazioni in merito ai suoi rapporti con la Cina. La richiesta a poche ore di distanza dalla notizia del ban per l’account di tre attivisti di piazza Tienanmen.
Zoom e Cina: gli Stati Uniti chiedono spiegazioni
Il destinatario è Eric S. Yuan, fondatore e CEO del gruppo. Nella missiva anche la domanda di chiarimenti a proposito delle pratiche di raccolta dati attuate dalla software house. Questa la replica fornita.
Non forniamo alcuna informazione a proposito degli utenti o contenuti sui meeting al governo cinese. Non abbiamo backdoor che permettono a qualcuno di entrare in una riunione senza essere visibile.
Già in passato Zoom ha in più occasioni dovuto affrontare l’argomento Cina, prima interrompendo il routing delle informazioni verso il paese asiatico, poi scegliendo il cloud dell’americana Oracle per l’erogazione del servizio, sgombrando così il campo da qualsiasi ipotesi di interferenze da parte di Pechino.
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Nell’ultimo periodo la piattaforma ha fatto registrare una forte crescita in termini di utenti e utilizzo, complice anche la corsa all’adozione di soluzioni per lo smart working e la comunicazione da remoto. Contestualmente ha dovuto impegnare tutte le proprie risorse nella risoluzione dei problemi in merito a privacy e sicurezza, anche per riconquistare parte della fiducia persa e non compromettere così i risultati raggiunti.