L’intelligenza artificiale, recentemente, raggiunto un traguardo significativo: la capacità di ricreare digitalmente i cari scomparsi, offrendo una sorta di immortalità digitale. Questi avatar, alimentati da dati personali e in grado di interagire in modi complessi, promettono una presenza quasi tangibile del defunto, offrendo un certo conforto a coloro che sono in lutto. Tuttavia, questo progresso tecnologico non è esente da dibattiti etici e preoccupazioni per il suo impatto sulla salute mentale.
Il lutto nell’era gigitale
La digitalizzazione della memoria attraverso gli avatar post-mortem solleva interrogativi sul modo in cui viviamo il lutto. Queste tecnologie, offrendo una presenza virtuale del defunto, ci mettono di fronte al confine labile tra il conforto e il rischio di una fissazione malsana. Stanno cambiando il nostro rapporto con la perdita, spingendoci a ripensare il valore dell’interazione umana in un mondo sempre più virtuale.
I fantasmi dell’AI impediscono di elaborare il lutto
Esperti come Nigel Mulligan, psicoterapeuta e professore, sottolineano i potenziali rischi associati a questi fantasmi dell’AI. Secondo lui, se da un lato queste tecnologie possono offrire un certo conforto, dall’altro potrebbero complicare il processo di elaborazione del lutto creando una dipendenza emotiva e impedendo l’accettazione della perdita. Mulligan mette in guardia dai pericoli di questi avatar, che potrebbero indurre negli utenti stati di confusione, stress e disturbi psicologici anche più gravi.
Inibendo la naturale capacità di elaborare il lutto, questi avatar AI potrebbero prolungare indefinitamente la sensazione di presenza del defunto. Ciò ha l’effetto di ostacolare la risoluzione del lutto e potenzialmente amplificare la sofferenza associata alla perdita. Con la tecnologia di oggi, i ricordi delle persone che abbiamo perso e ciò che è reale si fondono sempre di più. Questo sta cambiando il modo in cui le ricordiamo e ci costringe a riflettere su come preservare la loro memoria in questo mondo digitale.