Spirano folate censorie sulla rete. In Indonesia è la stessa popolazione a reclamare il controllo, esausta di avere a che fare con materiale pornografico, con contenuti violenti, con fiammate di odio razziale; in Siria i netizen non hanno più il diritto di reclamare alcunché, confinati ormai nell’autocensura.
ha annunciato il Ministro dell’Informazione indonesiano Mohammad Nuh. Per questo motivo la camera bassa del parlamento ha approvato una proposta sopita da anni nell’iter legislativo: punirà chiunque venga colto a scambiarsi in rete materiale pornografico, messaggi che inneggiano a superiorità etniche e non meglio precisate “notizie false e tendenziose”.
Le sanzioni? Abbastanza pesanti da rappresentare un deterrente per i cittadini che corrompono la morale di stato : rischiano fino a sei anni di carcere e multe fino a un miliardo di rupie, 70mila euro. Il Ministro Nuh ha inoltre promesso che il web verrà epurato dai contenuti sgraditi alla popolazione : dal primo aprile la macchina censoria statale comincerà a ruminare pagine web e a risputare la rete pulita che la popolazione reclama .
Al tempo stesso, ciascun cittadino potrà mettere in campo della strategie per proteggere la propria sensibilità : il governo ha messo a disposizione un software per il filtraggio domestico dei contenuti. In questo modo, ha spiegato il Ministro, la crescente popolazione di netizen locali, che ora sfiora i 25 milioni, “sarà incoraggiata a fare il miglior uso possibile della rete”: l’obiettivo è educare, ha ricordato Nun, non reprimere, censurare o punire.
Ma l’entusiasmo dei cittadini della rete indonesiana per la legge appena approvata potrebbe scontrarsi con la realtà dei fatti. La preoccupazione degli analisti non sembra concentrarsi sulle minacce che pesano sulla libertà di espressione e sulla libertà di informarsi, ma piuttosto sulle interpretazioni estensive della legge, che potrebbe essere impugnata come uno strumento per estorcere denaro a cittadini innocenti, che pure ripudiano contenuti immorali e sobillatori. Si pensa allo spam che si accumula nella caselle di posta elettronica: la presenza di email pubblicitarie ma equivoche potrebbe tradursi in un’incriminazione.
Se i netizen indonesiani festeggiano per una proposta di legge censoria che si ritaglia sui loro principi morali, non avviene lo stesso in Siria, dove Internet, sospinta e supervisionata dal governo, ha raggiunto quasi il 5 per cento della popolazione. Blocchi e censure , condanne e previsioni catastrofistiche sono mal tollerati dai cittadini locali della rete.
Gli obblighi a registrare le proprie generalità qualora si servano di internet cafè, il timore che i log conservati dai gestori dei servizi possano inchiodarli, il moltiplicarsi dei siti oscurati e degli arresti spingono i netizen all’ autocensura : il governo siriano persegue così l’obiettivo del controllo, depotenziando la rete delle peculiarità che permetterebbero di consolidare una società civile più consapevole e attiva.
Ma se le pratiche censorie si diffondono con sempre più vigore, esistono episodi di ravvedimenti . Proprio mentre le proteste in Tibet infiammano la rete occidentale, la Cina ha riaperto YouTube e ha revocato il blocco su BBC , blocco che le autorità hanno sempre negato di aver imposto: il sito inglese è ora accessibile dal territorio della Repubblica Popolare.
I cittadini cinesi hanno accolto con entusiasmo la novità, ma c’è chi si chiede se la revoca del blocco non sia semplicemente una svista. Quasi contemporaneamente, infatti, le autorità locali hanno pubblicato le liste nere dei siti di video sharing sgraditi al governo e hanno confermato l’intenzione della Repubblica Popolare di voler migliorare le strategie con cui già si costruisce e si regolamenta una Internet di stato.
Gaia Bottà
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