Veoh non è responsabile delle azioni dei propri utenti, le rivendicazioni dell’industria dei contenuti non sono sostenibili: il servizio di video sharing si industria abbastanza per tutelare gli autori, i netizen sono gli unici responsabili delle clip caricate senza l’autorizzazione del detentore dei diritti.
La decisione del giudice Howard R. Lloyd del tribunale federale di San Jose è dirompente. È stato chiamato a valutare un caso di violazioni del copyright che risale al 2006: nonostante il portale di sharing raccomadasse ai propri utenti di caricare contenuti che non violassero i diritti altrui, su Veoh circolavano una manciata di clip di proprietà di IO Group, specializzata in pornografia gay. La maggior parte delle clip non durava che pochi secondi, solo una superava i 40 minuti. L’azienda non aveva richiesto la rimozione delle clip ma aveva immediatamente denunciato Veoh per aver approfittato di contenuti coperti da copyright.
Ma il magistrato incaricato di valutare il caso ha stabilito che Veoh non è colpevole : agisce da intermediario e fa in modo di non incoraggiare le violazioni, per questo motivo può approfittare delle eccezioni previste dal DMCA e svincolarsi da ogni accusa.
Il ruolo di inerte intermediario svolto e rivendicato dal servizio di video sharing è stato contestato da Io Group, che ha a testimonianza il procedimento con cui Veoh converte in formato flash i file caricati dagli utenti e ne crea delle anteprime. Il giudice Lloyd ha convenuto con Veoh : si tratta di un procedimento automatico messo a disposizione dei netizen. Il servizio di sharing non prende parte a questa operazione e non si poò considerare responsabile dell’uso che ne fanno gli utenti.
Veoh, considera il giudice Lloyd, mette in campo diversi accorgimenti per scoraggiare le violazioni da parte dei propri utenti: certo non opera un controllo preventivo del materiale caricato, ma ha dimostrato di rimuovere tempestivamente i contenuti segnalati come condivisi senza autorizzazione dei detentori dei diritti. Dispensa inoltre avvertimenti e sospensioni nei confronti degli utenti recidivi, utilizza un sistema di fingerprinting che, analizzati i file caricati illecitamente, individua eventuali copie ancora in circolazione sul servizio.
Queste misure, a parere di Io Group, non sarebbero sufficienti per tutelare gli interessi dei detentori dei diritti: per approfittare delle eccezioni al DMCA, Veoh avrebbe dovuto vigilare tracciando i comportamenti dei propri utenti, e avrebbe dovuto bloccare l’accesso agli indirizzi IP colpevoli di ripetute violazioni. Il giudice ha sbaragliato l’argomentazione dei pornografi: gli indirizzi IP, nel migliore dei casi, indicano una macchina e non un particolare utente che fruisca della macchina, il tracciamento degli indirizzi IP sarebbe inoltre superfluo e inefficace rispetto alle misure a cui Veoh già fa affidamento.
Veoh, in virtù del fatto che non incoraggi le violazioni del copyright, in virtù del suo ruolo di intermediario e delle tutele offerte ai detentori dei diritti che si sentono minacciati, può quindi scampare alle accuse rifugiandosi nel safe harbor previsto dal DMCA, sicura di essersi assunta tutte le responsabilità che le spettavano.
La decisione del giudice Lloyd è stata accolta dal plauso della rete: ha sbaragliato le interpretazioni e gli stiracchiamenti operati dall’industria dei contenuti sul DMCA, ha diradato le nebbie che avvolgono le eccezioni previste dal quadro normativo che regola il copyright e ha sfornato una sentenza che molti auspicano possa agire da precedente . Il riferimento corre al caso in cui è coinvolta YouTube: i presupposti che accomunano le due controversie sono tali da aver spinto un rappresentante di Mountain View a pronunciarsi in merito alla vicenda: “è bello vedere che la corte confermi che il DMCA protegge servizi come YouTube, che rispettano la legge e i diritti degli autori” ha commentato Zahavah Levine, dirigente del portalone, ricordando come YouTube si spinga ben oltre la legge nell’assicurare tutele ai detentori dei diritti.
Anche qualora la decisione del giudice Lloyd non influenzi il parere della corte chiamata a dirimere la controversia tra Viacom e YouTube, è probabile che metta in guardia l’industria dei contenuti che dissemina denunce, affamata di compensazioni. I dati snocciolati da YouTube dimostrano che un cambio di atteggiamento è possibile: per monetizzare le violazioni non è necessario passare da un tribunale.
Gaia Bottà