La letteratura sulla videoludica ha subito una drastica impennata negli ultimi anni per quantità e qualità degli scritti: ma se la maggior parte dei testi è orientato sul versante accademico e ruota intorno all’analisi del linguaggio dei videogiochi (come essi comunichino, quale sia il loro specifico e come le nuove generazioni portino avanti questo linguaggio in una direzione che si distanzia dagli omologhi audiovisivi), è da poco uscito un libro che invece vira su tutto un altro versante.
Vintage Games , adeguatamente sottotitolato La storia di Grand Theft Auto, Super Mario e dei più influenti videogiochi di tutti i tempi , è una curiosa variazione sul tema della storia della videoludica nel quale il racconto di come l’industria si sia sviluppata dagli albori ad oggi non procede in senso cronologico, né attraverso una rigida (quanto arbitraria) suddivisione in generi. Al contrario gli autori Bill Loguidice e Matt Baron hanno preferito scegliere 25 titoli emblematici del mezzo, spaziando tra moderni e antichi per parlare di qualcosa che va più in là anche del titolo stesso. Può sembrare una contraddizione in termini raccontare la modernità attraverso il culto del vintage, e invece è un modo interessante di approcciare il settore.
I Vintage Games sono quei giochi usciti qualche decennio fa che continuano ad influenzare i videogiochi moderni, e che per questo motivo non abbiamo dimenticato. Non liquidabile in senso stretto come un’enciclopedia dei videogiochi o un dizionario della videoludica, Vintage Games ha poco di vintage e molto di moderno. Per parlare dei platform di un certo tipo parte, come ovvio, dalla storia della saga di Super Mario Bros, spaziando subito però nei rivali come Sonic, nei concorrenti, negli esempi migliori e peggiori di quello che Mario ha originato, soffermandosi sulle ultime generazioni e le infinite espansioni del genere su diverse console.
È come se ogni videogioco facesse genere a sè, anche retroattivamente. Ad esempio per parlare dell’introduzione della visuale tridimensionale la scelta ricade su Tomb Raider, benché non si tratti del primo gioco del genere, o per gli sparatutto in soggettiva invece il capitolo è incentrato su Doom e non su Wolfenstein (anche se ovviamente poi il gioco è menzionato).
Utilizzare titoli di giochi cardinali come capitoli dona al libro un andamento non lineare, che consente una lettura episodica, consultativa. A questo punto interviene però il grande limite di Vintage Games, ovvero la totale mancanza di un’elaborazione intellettuale di ciò che si racconta. Come precisato all’inizio, non è intenzione degli autori parlare di linguaggi e di significati legati alla produzione videoludica: tuttavia, tracciando la storia dei videogiochi in più di un momento, gli autori arrivano a trattare anche quale sia stato il retaggio di un certo titolo, cosa cioè sia stato in grado di causare, a che fenomeni abbia dato vita e quali altri giochi siano nati grazie alla sua sola esistenza. Queste considerazioni per lo più girano intorno ad un vuoto teorico che in più di un caso genera frustrazione nel lettore.
Speculazioni teoriche a parte, però, il compendio di Baron e Loguidice è impressionante per serietà, esaustività e minuzia (450 pagine). Sebbene non completo (molti videogiochi a dir poco storici non sono citati) il libro è però coerente nella volontà di cominciare a tracciare un abbozzo di storia della videoludica, decidendo chi tenere dentro e chi fuori. Non sempre si concorderà con le scelte degli autori (praticamente nessuna citazione per i giochi di Fumito Ueda), ma è indubbio che queste siano state fatte con criterio, conoscenza e un’idea ben precisa di come si sia dipanata l’evoluzione dei generi, dei titoli e dei giochi. Un’opera da consultazione e non da meditazione.
L’edizione italiana è curata da Claudio Todeschini e Stefano Gaburri.
Gabriele Niola
Il blog di G.N.