Avere un appassionato gamer come compagno di stanza può essere deleterio per la media degli studenti: joypad e tastiera sono una tentazione alla quale si cede facilmente. È così che il profitto scolastico cala in maniera direttamente proporzionale al tempo che i videogame rubano allo studio.
Novità? Acqua calda? No, è un rapporto tra tempi di studio e risultati scolastici, The Causal Effect of Studying on Academic Performance , realizzato da Ralph Stinebrickner e figlio, rispettivamente professore di matematica e informatica presso il Berea College, in Kentucky, e professore di economia presso l’università del Western Ontario. Nella letteratura di settore, sostiene USA Today , lo studio degli Stinebrickner sarebbe addirittura il primo a confermare quello che molti genitori sanno perfettamente, che esiste cioè una correlazione diretta tra “videogiochi in azione” e tempo dedicato allo studio.
Si tratta peraltro di una indagine empirica, in cui si è scelto di introdurre come discriminante proprio la variabile videogame . Si sono creati due gruppi di matricole equamente ripartiti per genere e per meriti scolastici, differenziati dal fatto di avere o meno un gamer come compagno di stanza: quattro interviste nel corso del primo anno di studi hanno rivelato che un’ora di studio in più al giorno permette di ottenere migliori risultati, quantificabili in un terzo di punto, su una scala di quattro. Un’ora di studio sottratta agli studenti dalla travolgente malìa intessuta dai videogame dei compagni di stanza che, adagiati in poltrona, joypad alla mano, si trastullano davanti allo schermo.
Il richiamo è irresistibile: i dati raccolti dagli Stinebrickner mostrano come la variabile coinquilino-con-videogioco operi pesantemente sulle abitudini da discente diligente, sottraendo una media di quaranta minuti al giorno alle ore di studio giornaliere.
La variabile risulta invece avere meno peso sulle altre abitudini da studente, una questione di priorità: le lezioni sono frequentate con la stessa regolarità, alle canoniche ore di sonno non si può rinunciare. Parimenti, un coinquilino gamer non influisce sulle capacità relazionali dello studente, che certo non rinuncia a interagire con altri studenti, e che declina volentieri l’invito ad una sfida davanti alla console pur di partecipare a feste e festini.
Gli Stinebrickner, a corollario del loro studio, mostrano indulgenza: i videogame, oltre a sviluppare abilità cognitive , rappresentano una distrazione importante per la serenità degli studenti, una serenità che permette loro di applicarsi con più entusiasmo nelle incombenze scolastiche.
Sue Herbert, a capo del consueling center di un college dell’Illinois, ritiene invece che occorra allertare i genitori, che ritiene evidentemente del tutto inconsapevoli. Intervistata da un quotidiano locale, invita a diffidare delle capacità organizzative degli studenti: i videogiochi sarebbero una delle principali distrazioni che inducono i ragazzi a rimandare lo svolgimento dei compiti assegnati, bisogna quindi insegnare loro a gestire meglio i tempi e le priorità.
Ma potrebbe non essere solo lo studio presentato dagli Stinebrickner a scatenare l’apprensione dei genitori degli studenti più giovani. Dopo Louisiana , Michigan , Illinois e California, anche una giudice dello stato dell’Oklahoma, segnala ars technica , ha dichiarato incostituzionale le legge che vieta ai negozianti la vendita ai minori di videogiochi classificati come “inadatti”. A meno che lo stato non decida di investire nel ricorso in appello, che è probabile si scontri , come è già successo, con il Primo Emendamento, i genitori dovranno cominciare a marcare stretti i loro pargoli se, inquietati da studi allarmistici, davvero temono per il loro equilibrio e per il loro rendimento scolastico.
Gaia Bottà