Perché i vinili sono tornati a vendere come nel 1984?

Perché i vinili sono tornati a vendere come nel 1984?

I numeri parlano chiaro: il ritorno dei vinili non è un trend momentaneo, ma come lo spieghiamo nell'era musicale dominata dallo streaming?
Perché i vinili sono tornati a vendere come nel 1984?
I numeri parlano chiaro: il ritorno dei vinili non è un trend momentaneo, ma come lo spieghiamo nell'era musicale dominata dallo streaming?

Non è sempre facile comprendere quali siano le dinamiche che regolano un mercato complesso come quello discografico. Si potrebbe limitare l’analisi ai soli effetti riconducibili alla legge della domanda e dell’offerta, senza tenere in considerazione aspetti e fattori che nulla hanno a che vedere con i freddi numeri. Anzi, che proprio da questi ultimi si allontanano, dando vita a scenari impossibili da prevedere o da decifrare se non attraverso la lente di ciò che smuove la passione. È il caso del trend che sta interessando i vinili.

Non è più un trend momentaneo: il ritorno dei vinili

Sul fatto che 33 e 45 giri siano tornati un oggetto del desiderio ci sono ben pochi dubbi. È così ormai da anni, da quando tanti hanno iniziato ad avvertire una sorta di ostilità nei confronti della musica fluida, impalpabile. Se è innegabile il valore da associare ai download prima e allo streaming poi, anche e soprattutto in termini di comodità e fatturato per un’industria a lungo in difficoltà, lo è altrettanto che molti soffrono la privazione dell’elemento fisico che per decenni ha accompagnato l’esperienza di ascolto.

Ecco dunque spiegato perché il nuovo report annuale di RIAA (PDF) mette nero su bianco il boom di vendite e introiti fatto registrare dai vinili nel corso del 2024: 44 milioni di pezzi solo negli Stati Uniti, il volume più alto dal 1984, per un fatturato che si attesta a 1,4 miliardi di dollari. Per intenderci, non accadeva da quando nei negozi sono arrivati l’album di esordio dei Run-D.M.C. e Born in the U.S.A. di Bruce Springsteen. E anche in Italia la situazione è simile, come certifica FIMI ormai da tempo.

Nell’era del processo creativo musicale che mostra il fianco alle interferenze dell’intelligenza artificiale e del dominio di piattaforme come Spotify, c’è ancora chi preferisce dedicare all’ascolto un tempo che sappia andare oltre la semplice pressione del tasto Play. Difficile prevedere per quanto sarà così, molto dipenderà dall’interesse che le nuove generazioni mostreranno nei confronti di una tecnologia che non sembra avere alcuna intenzione di arrendersi a chi la ritiene ormai obsoleta.

Fonte: RIAA (PDF)
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Pubblicato il
20 mar 2025
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