Avrebbe di fatto messo a disposizione un servizio di streaming musicale completamente illegale, alimentato dai propri utenti: un servizio remunerato con i denari dell’advertising che somministra ai suoi 140 milioni di iscritti in tutto il mondo, 88 milioni dei quali opera dalla Russia. Il social network vKontakte è stato inforcato da un tridente di denunce: Sony Music Russia, Universal Music Russia e Warner Music UK, coordinate da IFPI e supportate dalla associazione russa che rappresenta le etichette, si sono scagliate contro quello che definiscono un “servizio di file sharing musicale senza regole”.
Le major, che dopo anni di sospetti e di sollecitazioni hanno sporto denuncia presso la corte di San Pietroburgo, puntano il dito conto le capacità di hosting del social network: vKontakte permette ai propri utenti di caricare musica e video su archivi personali, in un meccansmo senza controllo. Non c’è controllo da parte deli utenti, i cui contenuti sono ricercabili e fruibili da tutti gli altri netizen, che possono a loro volta aggiungere i file ai propri archivi personali senza alcuna restirizione. Non c’è controllo da parte di vKontakte, come si spiega nelle condizioni d’uso : oltre a non assumersi responsabilità riguardo alla legalità dei contenuti caricati dagli utenti e alla loro verifica, il social network offre un sistema per chiedere la rimozione dei contenuti ma invita i detentori dei diritti che ritengono di aver individuato delle violazioni a rivolgersi all’utente responsabile del caricamento, o, in caso di controversia, di rivolgersi alla giustizia.
Ed è proprio questo il percorso battuto dalle etichette. Da anni nella lista nera dell’industria dei contenuti, vKontakte non avrebbe saputo rispondere adeguatamente alle rimostranze di Sony, Universal e Warner, e non avrebbe accettato alcuna proposta di trasformarsi in un servizio legale pagando le dovute licenze, checché ne dicesse il suo fondatore e CEO Pavel Durov mesi fa, alle prime avvisaglie della battaglia che si è appena scatenata.
Con le tre denunce, che muovono da un campione di brani che le etichette vorrebbero vedere rimossi dal servizio, si chiede un risarcimento di 50 milioni di rubli, poco più di un milione di euro .
Ma soprattutto, si chiedono più tutele: le giustizia russa, secondo le major, dovrebbe imporre al social network di implementare delle misure per prevenire il caricamento di contenuti già identificati e rimossi, e anche di filtri che impediscano il caricamento di contenuti segnalati come appartenenti al catalogo dei detentori dei diritti. Un tale sistema sarebbe già stato implementato dalla piattaforma russa, ma solo per l’ambito dei video : gli accordi stretti con alcuni detentori dei diritti non ha però permesso al social network di scampare alle ire dell’industria dei contenuti e al braccio della giustizia, come dimostra il sequestro italiano dell’intero sito voluto da Medusa e ordinato dalla Procura di Roma per il film Sole a catinelle .
L’azione delle major si è abbattuta sul social network in giorni già abbastanza tempestosi: il CEO Pavel Durov aveva appena rassegnato le proprie dimissioni per ragioni ancora poco chiare, che potrebbero risiedere nell’ equilibrio di poteri che avrebbe improvvisamente avvicinato la piattaforma al Cremlino e alle esigenze del Palazzo di orientare l’opinione dei cittadini della Rete. Durov è poi tempestivamente tornato sui propri passi .
Gaia Bottà