Wall Street, 6 maggio alle 2:47 P.M. ora locale: un banalissimo errore umano (una lettera digitata al posto di un’altra) dà il via a una reazione a catena che fa precipitare di 1.000 punti l’indice azionario. In seguito la borsa si riprende, ma montano le polemiche su un sistema di scambi sin troppo dipendente dai computer , e da meccanismi di sicurezza che non hanno funzionato come invece avrebbero dovuto.
Questa volta il web ha retto l’impatto della notizia, ma le note positive finiscono qui: un trader, probabilmente impegnato sulle azioni di Procter & Gamble , ha premuto il tasto “b” di “billion” (miliardi) al posto di “m” di “million”, facendo crollare in maniera sostanzialmente automatizzata l’indice del Dow Jones per un breve periodo di tempo.
Se l’ignoto operatore di borsa ha la colpa originaria di aver dato il là al disastro, le critiche più aspre sono quelle che si levano contro le “macchine” che controllano il cuore pulsante della finanza americana: un cuore elettronico fatto di transistor e software senza la benché minima consapevolezza della dimensione delle ricchezze bruciate a causa di una lettera sbagliata.
“Il potenziale che giganteschi computer ad alta velocità hanno di generare scambi azionari falsi e creare il caos nel mercato ha oggi sollevato la testa”, commenta caustico il senatore democratico Ted Kaufmann. Che accusa apertamente quel genere di “transazioni ad alta frequenza” reso possibile dagli algoritmi di trading automatizzati, algoritmi che andrebbero messi sotto la stretta osservazione della Securities and Exchange Commission (SEC) e opportunamente ingabbiati in uno schema regolatorio adeguato.
“Le macchine hanno semplicemente preso il controllo” dice Charlie Smith di Fort Pitt Capital Group , “non c’è molta interazione umana” e sono gli algoritmi al cuore delle succitate macchine a decidere cosa venderà e cosa no, e a che prezzo . Si stima che questo tipo di transazioni automatiche riguardi tra il 60 e il 70 per cento del volume complessivo degli scambi sul mercato statunitense.
Certo, c’erano meccanismi preposti a frenare gli algoritmi e individuare questo genere di errori banali per intercettare il panico prima che questo diventasse diffuso, ma a quanto pare non hanno funzionato come avrebbero dovuto: finendo invece per esacerbare il problema e mettendo a nudo l’inadeguatezza della finanza automatizzata in mano alle macchine.
Alfonso Maruccia