Che lo streaming rappresentasse un orizzonte più che promettente per l’industria della musica era chiaro da tempo, soprattutto con i risultati conseguiti dal settore in termini di volume di contenuti fruiti e in termini di vastità delle platee: Warner Music Group ora conferma che si tratti anche di un affare redditizio, checché ne dicano le etichette più sospettose.
Sono i risultati finanziari della major per il primo trimestre del 2015 a convertire le aspettative in numeri: il volume d’affari del settore dello streaming è cresciuto del 33 per cento anno su anno, superando per la prima volta il fatturato generato dai download. “Questa crescita – ha spiegato agli analisti lo chief executive Stephen Cooper – rende abbondantemente chiaro che nei prossimi anni lo streaming sarà il canale con cui la maggior parte delle persone fruirà della musica”. E ciò non significa affatto una sconfitta per l’industria, di cui certa parte ancora tende a diffidare del modello basato su un consumo di musica come servizio: “crediamo nel fatto che la progressiva espansione dello streaming – ha dichiarato Cooper – si tradurrà per l’industria in una crescita a lungo termine sostenibile”.
Le altre grandi etichette, in primo luogo Universal, vedono nelle piattaforme di streaming un modello di business ancora poco redditizio, impensierite dal versante gratuito fondato sull’advertising. Warner Music Group, però, avverte : il modello di business freemium attrae utenti che erano soliti indulgere alla pirateria, osserva Cooper, “nel tempo sa incoraggiare la transizione dalla fruizione basata sull’advertising a quella basata sugli abbonamenti” e la stessa major, evidentemente ravveduta , insieme alle piattaforme sta tentando di elaborare delle strategie per accelerare questo processo.
Spotify, dal canto suo, aveva già evidenziato l’importanza della gratuità in passato e continua a credere nel proprio modello di business nonostante i risultati finanziari non sappiano ancora premiarla. La piattaforma svedese, proprio per questo motivo, non smette di ammiccare alle etichette garantendo loro un grosso volume di royalty . L’industria, però, non sembra recepire appieno e sembra accordare le proprie simpatie a un soggetto come Apple, che si prepara a gettarsi nell’agone del mercato con una proposta confinata agli abbonamenti.
Gaia Bottà