“Recenti circostanze hanno portato alla mia attenzione alcune voci pubblicate online che sono incompatibili con i nostri standard”. Così ha parlato di recente Marcus Brauchli, editor del Washington Post , che ha poi aggiunto: “di conseguenza, abbiamo deciso di accelerare il completamento di queste linee guida”. Linee guida descritte come un insieme di standard e principi volti a regolare l’attività di redazione, in particolare quelle attività legate all’uso dei social media da parte dei giornalisti del Post .
Le voci definite incompatibili con le regole del quotidiano statunitense sono state riportate in un intervento sul blog tenuto dall’ ombudsman Andrew Alexander, che ha esordito affermando che non tutti i cinguettii su Twitter sono innocui. Non quelli pubblicati da Raju Narisetti, editor di punta del Post, in parte responsabile della linea editoriale e del sito web. Lo stesso Narisetti avrebbe ammesso di non essere stato abbastanza saggio, nel parlare di riforma sanitaria ai suoi 90 follower, in contrasto con il proprio ruolo da giornalista professionista .
L’editor del Post, dunque, ha provveduto immediatamente a chiudere il suo profilo su Twitter, ma questo non è evidentemente bastato al suo giornale che ha deciso di accelerare il completamento di un pugno di regole auree per l’utilizzo dei social media . “I social network – ha esordito il Post – sono mezzi di comunicazione e parte integrante delle nostre vite quotidiane. Possono essere strumenti di valore nel raccogliere e disseminare notizie e informazioni”. Eppure, stando al quotidiano, c’è sempre qualcosa che non funziona.
“I social media creano anche delle serie minacce che dobbiamo riconoscere. Che li si usi per fare cronaca o per raccontare la propria vita privata, bisogna ricordare che i giornalisti del Washington Post sono sempre giornalisti del Washington Post”. E quindi a tutti i giornalisti del Post saranno utili questi principi , innanzitutto a salvaguardia dell’integrità professionale e della fondamentale distinzione tra fatti ed opinioni. Fin qui tutto sembra legato al ruolo ricoperto, ma cosa succede quando il giornalista torna a casa e diventa semplicemente un privato cittadino ?
Il Post ha caldamente consigliato a tutti i suoi dipendenti di tenere bene a mente le opzioni social a tutela della propria privacy, suggerendo che, se non si vuole far trovare qualcosa online, bisognerebbe semplicemente non mettercela. “I nostri giornalisti – continuano le linee guida – devono evitare di pubblicare tutto quello che potrebbe far trasparire preferenze su temi religiosi, razziali e sessuali; favoritismi che potrebbero macchiare la credibilità professionale”.
Regole piuttosto severe che, tuttavia, sembrano non aver particolarmente attecchito sulle scrivanie di Associated Press che, al posto di un articolo sul recente arresto di Roman Polanski, ha pubblicato per errore una conversazione interna tra due redattori. Uno di questi avrebbe anche illustrato una personalissima visione del caso che ha messo nei guai il regista polacco naturalizzato francese. L’errore – definito umano – è stato subito riparato prima con un articolo di Reuters e poi con uno originale di AP. Con una tiratina d’orecchio da parte del Washington Post .
Mauro Vecchio