Washington (USA) – Molti negli USA hanno definito l’ultima iniziativa della Motion Picture Ass. of America e Recording Industry Ass. of America come lo “scherzetto” di Halloween. In contemporanea con la nota ricorrenza, la Commissione giuridica della Camera dei Rappresentanti ha infatti iniziato a far circolare la bozza di tre leggi che permetterebbero agli organi federali di elaborare norme per la prevenzione “a monte” della pirateria nel settore della radio digitale e del broadcasting televisivo.
Non si tratta di un’iniziativa che arriva dal nulla: è infatti partita dopo la presentazione da parte della RIAA di un documento denominato Content Protection in the Digital Age: The Broadcast Flag, High-Definition Radio, and the Analog Hole , una sorta di “guida totale” ai problemi suscitati dalla pirateria a danno dei bilanci e delle strategie dell’industria dei contenuti.
Grazie a due indicazioni contenute nel documento e riprese dalle bozze di normative potrebbe essere attivata quella broadcast flag di cui si parla anche in Europa , un giochino da integrare ai sistemi televisivi e che consente di gestirne le capacità di visualizzazione sulla base delle necessità antipirateria delle major.
Una terza indicazione, invece, vieterebbe la produzione , importazione e commercializzazione di dispositivi capaci di convertire programmi televisivi digitali protetti in contenuti video analogici. Lo US Patent and Trademark Office si occuperebbe poi del dettaglio di quest’ultimo aspetto – chiamato “analog hole” .
Insomma, una specie di bomba legislativa che potrebbe vietare – e quindi rendere perseguibile – non solo la messa online di programmi TV precedentemente registrati, come avviene nel file sharing, ma anche la commercializzazione di videoregistratori e applicazioni che permettono il trasferimento di contenuti televisivi su supporti analogici.
Lo scorso maggio la Corte Federale aveva condannato la policy “broadcast flag” adottata dalla FCC. Public Knowledge , un’organizzazione non profit, si era mobilitata per dimostrare che la FCC non aveva l’autorità per redigere una regolamentazione di quel tipo. Nelle prossime settimane la Commissione giuridica convocherà Dan Glickman, CEO della MPAA, Mitch Bainwol, CEP della RIAA e Gigi Sohn, presidente di Public Knowledge per discutere sulla proposta di legge.
Le Major sostengono che l’adozione di “analog hole” e “broadcast flag” permetterebbe una transizione alla televisione digitale decisamente più agevole. Solo una protezione adeguata dei diritti di copyright consentirebbe il passaggio al digitale di contenuti di qualità, che oggi nascono spesso “blindati” da forme di fruizione a pagamento: un ritornello già sentito molte volte in questi anni, in cui le nuove tecnologie esasperano lo scontro tra proprietà intellettuale e libertà individuale.
“La bozza è in sintonia con le esigenze del settore sia per quanto riguarda l’ambito analogico che quello anti-pirateria; sosterremo l’iter legislativo per ottenere al più presto questo tipo di norme”, ha dichiarato Gayle Osterberg, portavoce MPAA. Ma, ad essere “presa di mira” è anche la radio .
Le nuove norme sono studiate per intaccare direttamente le libertà fin qui godute dalle emittenti radiofoniche che, negli USA, non sono tenute a pagare royalty specifiche alle major, una condizione che fin qui le ha sottratte ad un rigido controllo sul broadcasting: ora si punta a trasformare le radio nel mondo digitale in servizi a pagamento . Lo spirito dell’iniziativa lo ha spiegato Bainwol: “Siamo dell’idea che a prescindere dalla piattaforma, radio-broadcasting digitale via etere, radio HD o radio satellitare, ci sarà un nuovo tipo di funzionalità con la convergenza digitale. Adesso vi è la possibilità di prendere le tracce audio, archiviarle nei player ed evitarne l’acquisto. E’ una questione che i legislatori dovrebbero tenere a mente”.
Se nel 2003 i big del settore riuscirono ad imporre un balzello alle radio online universitarie, ora si pensa invece ad un passo in più. Non è un caso che gli oppositori a queste novità sostengano che queste leggi potrebbero dare troppo potere alle major sullo sviluppo e il controllo delle attrezzature audio-video.
“Speriamo di poter dare il nostro contributo su queste nuove norme. Allo stato attuale della bozza, FCC e Patent and Trademark Office disporrebbero di un controllo totale sulle tecnologie audio-video, privando i consumatori dei diritti di cui hanno goduto per anni. Queste sono direttive tecnologiche ingiustificate”, ha denunciato Art Brodsky, portavoce di Public Knowledge.
La risposta di Bainwol non si è fatta attendere. “Si tratta del comune senso della protezione del copyright. Siamo agnostici sulla cura, ma vogliamo essere sicuri che il problema venga affrontato”.
In buona sostanza MPAA e RIAA riprendono un vecchio refrain coniato già nel 1982 da Jack Valenti , ex presidente MPAA, quando però la caccia alle streghe era rivolta nei confronti dei primi videoregistratori VHS. Proprio alla Commissione giuridica dell’epoca, colui che per anni aveva gestito gli interessi del grande business hollywoodiano dichiarava: “(…) stiamo assistendo a un nuovo vero assalto alla nostra sicurezza fiscale, all’economia, tutto a causa di dispositivi chiamati videoregistratori. Questi insieme alle videocassette da registrare stanno rimettendo in discussione la vita del diritto di copyright. Un diritto dal quale dipendono l’industria, i film e la televisione”. Con una singolare sottolineatura: “(…) è ironico che i giapponesi non siano in grado di realizzare film come noi, ed approfittino di un attacco ai fianchi per distruggere la nostra cinematografia con i videoregistratori (…)”.
Altri tempi?
Dario d’Elia