Nuovo colpo di scena nella battaglia legale tra Waymo e Uber sulle tecnologie per la guida autonoma. Anthony Levandowski, manager di Uber e cofondatore di Otto, accusato di avere sottratto informazioni dal progetto di auto a guida autonoma di Google prima di dimettersi da Waymo, ha invocato il quinto emendamento in merito alla causa intentata dall’azienda di cui era dipendente.
Un avvocato di Levandowski, come riportato dal New York Times , ha affermato che la mossa del suo assistito è motivata dal fatto che esisterebbe “un potenziale per un’azione criminale” che potrebbe condurre ad una auto-incriminazione . Lo scorso 30 marzo, Uber ha chiesto alla Corte federale che la gran parte dei punti della causa intentatale da Waymo siano risolti tramite un arbitrato , procedimento usualmente privato, meno caro e più veloce rispetto a una causa federale.
Nell’ azione legale , i vertici di Waymo, la divisione di Alphabet specializzata nella creazione di soluzioni per la guida autonoma, sostengono che Levandowski avrebbe utilizzato senza autorizzazione informazioni confidenziali e documenti tecnici relativi alla tecnologia, prima di rassegnare le dimissioni e fondare la startup Otto, poi acquisita da Uber.
Al centro del contendere c’è il LiDAR delle self-driving car di Uber, ritenuto identico a quello messo a punto dal team di Google . A supporto della propria tesi di accusa, Waymo ha depositato presso la Corte una documentazione in cui sono riportate alcune testimonianze di manager Waymo: Gay Brown (Security engineer), Pierre-Yves Droz (Tech lead) e Tim Willis (Supply chain operations director).
Il Consigliere generale associato di Uber, Angela Padilla, ha rilasciato una dichiarazione a riguardo: “Attendiamo il primo responso pubblico sul caso il prossimo 7 aprile. Siamo fiduciosi che le accuse di Waymo contro Uber siano infondate e che Antony Levandowski non abbia utilizzato alcun documento preso da Google nel suo lavoro con Otto per Uber”.
Pierluigi Sandonnini