Secondo le nuove accuse mosse da Waymo nei confronti di Uber, l’ex CEO di Uber Travis Kalanick sarebbe stato a conoscenza del fatto che Levandowski fosse in possesso di informazioni trafugate durante il suo lavoro a Mountain View ben prima della denuncia da parte di Google.
L’ormai ex CEO di Uber, dimessosi in seguito ad una crisi personale e aziendale aggravata negli ultimi mesi da alcune comunicazioni sessiste indirizzate ai suoi collaboratori (scandalo, quello delle molestie sessuali, che ha già portato al licenziamento di altri alti dirigenti della compagnia), sembra essere il capro espiatorio designato dell’immagine non certo positiva che la startup si sta costruendo, non solo come nemico nella protesta dei tassisti di mezzo mondo, ma anche per pratiche commerciali a dir poco aggressive, spregio della privacy e furto di segreti industriali (caso Waymo vs Uber ).
La questione che vede ancora una volta coinvolto Kalanick si inserisce come ultima sorpresa nella battaglia legale tra Waymo e Uber sulle tecnologie per la guida autonoma e in particolare il LiDAR delle self-driving car di Uber, ritenuto identico a quello messo a punto dal team di Google. Anthony Levandowski, manager di Uber e cofondatore di Otto, è accusato di avere sottratto informazioni dal progetto di auto a guida autonoma di Google prima di dimettersi da Waymo e di aver conseguentemente utilizzato senza autorizzazione informazioni confidenziali e documenti tecnici relativi alla tecnologia, prima di rassegnare le dimissioni e fondare la startup Otto, poi acquisita da Uber.
Uber, per la verità, sembrava aver fin da subito assunto un atteggiamento di sospetto nei confronti di Levandowski, accusato di mancanza di collaborazione nelle indagini interne sulla questione e conseguentemente allontanato per dimostrare forse a Mountain View la propria estraneità alle accuse. Da parte sua Waymo ha recentemente assunto Satish Jeyachandran, ex ingegnere Testa, nel suo team Waymo , segno che la strada della ricerca sulle auto senza pilota era ripartita.
Tutto ciò tuttavia potrebbe non essere sufficiente se le nuove accuse dovessero essere confermate e il vertice di Uber dovesse confermarsi come una persona a conoscenza della modalità con cui Levandowski aveva ottenuto le tecnologie in suo possesso.
Come si legge ora nei nuovi documenti di denuncia presentati da Google nei confronti di Uber, infatti, Kalanick sarebbe stato a conoscenza del fatto che Levandowski e alcuni suoi collaboratori avessero cinque dischi contenenti informazioni di Google ancor prima di procedere all’acquisto della loro startup Otto .
Insomma, se le accuse dovessero risultare provare in giudizio, Uber non potrebbe più ritenersi all’oscuro del presunto furto di segreti industriali e Kalanick avrebbe a che fare con nuove pesanti accuse nei suoi confronti oltre a quelle per molestie sessuali (su cui peraltro continua a soffiare l’ex dipendente Susan Fowler): in realtà, peraltro, anche all’interno di Uber non tutti sono stati favorevoli all’allontanamento del CEO, tanto che oltre mille dipendenti hanno chiesto il suo ritorno con una lettera aperta al Consiglio d’Amministrazione. Segno che la questione non è affatto chiusa.
Claudio Tamburrino