Waze, troppo interesse per i punti di interesse

Waze, troppo interesse per i punti di interesse

Una azienda concorrente denuncia i responsabili dell'app acquisita da Google: per rendersi più appetibile si sarebbe appropriata dei POI altrui. PhantomAlert è pronta a dimostrarlo in tribunale
Una azienda concorrente denuncia i responsabili dell'app acquisita da Google: per rendersi più appetibile si sarebbe appropriata dei POI altrui. PhantomAlert è pronta a dimostrarlo in tribunale

L’applicazione dedicata al tracciamento social del traffico e alle mappe costellate da punti di interesse segnalati dalla community che Google ha acquisto nel 2013 per una cifra miliardaria e che ha progressivamente integrato nei propri servizi di mappatura potrebbe aver fondato il proprio successo su un database alimentato da dati rastrellati dalla concorrenza: questa è l’accusa formulata da PhantomAlert, azienda che intende provare davanti alla giustizia statunitensi il comportamento illecito di Waze.

Waze e PhantomAlert

PhantomAlert, nel documento depositato presso un tribunale californiano, racconta la propria certosina attività di rilevazione e aggiornamento di POI utili agli utenti, quali semafori e autovelox, ingorghi e lavori stradali: un database che ha iniziato a popolarsi nel 2008 con le segnalazioni della community, costantemente sottoposto a verifica ed continua evoluzione, protetto da copyright per servire gli utenti in maniera unica.
L’azienda racconta altresì di come nel 2010 fosse stata avvicinata dal CEO della startup israeliana Waze, proponendo un accordo per condividere i propri database: il CEO di PhantomAlert aveva declinato l’offerta, ritenendo lo scambio impari e svantaggioso per la propria azienda.

L’azienda statunitense ora intende provare che Waze, a partire dal 2012, si sia appropriata illecitamente dei dati che non era riuscita ad ottenere con le trattative fallite: li avrebbe integrati nelle proprie mappe e nella propria app con delle leggere modifiche. Modifiche non abbastanza sostenziali da sfuggire al confronto: PhantomAlert riferisce di aver rintracciato sulle mappe di Waze dei punti di interesse fittizi, creati al solo scopo di verificare eventuali copie illecite da parte di terzi.

“Waze aveva bisogno di far crescere il proprio database per aumentare il proprio valore e risultare più attraente nei confronti di potenziali acquirenti” denuncia il legale di PhantomAlert in un comunicato: una operazione che ha evidentemente avuto successo, dato l’interesse suscitato in Google e gli 1,3 miliardi di dollari che Mountain View ha sborsato per accaparrarsi la starup.

PhantomAlert, con la propria azione legale, chiede che Waze venga ritirata dal mercato e che venga corrisposto un risarcimento capace di compensare i profitti mancati determinati dalla condotta della concorrente.

Gaia Bottà

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Pubblicato il
3 set 2015
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