Caro PI, è un po’ che non ci sentiamo
e ho pensato quindi che potrei scusarmi per questi 2 anni di silenzio formale commentando il tuo recente articolo che pone dubbi amletici sulla qualità sociotecnoeconomica del web, e quello che quasi quasi ne decreta prematuramente la morte .
A scanso di equivoci ti dico subito come la penso: il web è uno strumento informatico, come tale non è né Buono né Cattivo, come tale ha bisogno di ricchezza materiale per essere inventato, stipendiato, sfruttato a dovere, e come tale avrà vita finché ce ne sarà bisogno, e tecnologicamente ce ne sarà bisogno finché esisteranno i computer in mano a noi Mario Rossi; o giù di lì: conosci un modo più semplice, più economico, e più comodo, per implementare un ipertesto? Quindi preoccuparsi per il web è un pochino eccessivo; una questione economica, ecologica ed emotiva, piuttosto che squisitamente logica.
Tuttavia il web dipende e dalla salute delle tecnologie sottostanti il web, e dal motore economico che sostiene tutto il baraccone tecnologico sottostante il web, e quindi dalla cultura di chi utilizza quella bellissima macchina di cui il web è solo una delle chiavi che ci sono state consegnate in mano dai grandi hacker. Non penso nulla di così eccentrico insomma. La parte importante mi sembrano piuttosto delle osservazioni interdisciplinari utili a notificare questioni fisiologicamente distanti dalla routine degli addetti ai lavori, ma che viste tutte insieme vanno effettivamente a concretizzare dei possibili rischi che incombono non tanto sul web, non tanto su Internet, quanto sulle conquiste della nostra amata
civiltà occidentale. E quindi prima di tutto su Internet intesa come strumento primo di studio , coordinamento , produzione di consenso per intersezione , e relax .
Facciamo dunque un rapido passo indietro. I greci percepivano il tempo come kyklos … un ciclo . Ok, troppo mistico. Ritento. Fin dal VI secolo a.c. gli antichi percepivano anche lo spazio come kyklos … o meglio, tondo. Ok, troppo indietro. Tralasciamo qualche secolo di misticismo e tirannia, saltando direttamente alla Rivoluzione Industriale. Gli economisti austriaci del secolo scorso concepivano l’economia come kyklos … un ciclo . Ok, troppo complicato. Sintetizzo e attualizzo.
L’informazione per sua natura può essere vista come un indicatore naturale del benessere di una società. Senza dilungarmi in spiegazioni complesse: siamo ciò che mangiamo, mangiamo le risorse naturali che riusciamo a trasformare, la produzione dipende dalle logiche economiche, l’economia dipende da quelle informatiche , da cui a sua volta dipende la civiltà di un popolo. Spero tu – amico maturo fatto di bit&bytes – sia d’accordo senza necessità di dilungarci oltre su questo punto.
Bene, come hai già notato da te sia Microsoft che Google hanno collezionato i loro primi trimestri negativi dopo rispettivamente 22 e 11 anni di gloria. E così come oggi accade al Sistema Operativo, e al Web, era già toccato all’Hardware – ricordiamo IBM e Apple – negli anni ’90, ma anche a Enron e WorldCom nei primi anni del millennio. E, per la natura stessa del sistema socio-economico in uso, in genere basta osservare l’andamento dei leader di mercato per avere un’idea sia di come se la passa tutto il settore, sia di come si evolveranno le cose. In questo senso però voglio specificare ancora una volta – e non è mai abbastanza – che non faccio previsioni: qualunque previsione, anche quella ottenuta con il modello più complesso, calcolato con il supercalcolatore più potente sulla base di dati più affidabile e vasta, può in linea teorica essere probabile solo al 99%. Qualunque previsione cioè è sempre sbagliata: basta infatti che una sola farfalla , in un punto qualsiasi del globo , sia schiacciata da un solo uomo temporaneamente sbadato , per falsare completamente qualsiasi previsione. Come facciamo dunque a sapere se quei dati sono l’inizio di una discesa, o una semplice incertezza per certi versi addirittura fisiologica? È qui che subentra l’esperienza: a distanza di anni dai giri di boa dei rispettivi leader di allora l’hardware non è più una miniera d’oro, la connettività non è più una miniera d’oro, il software non è più una miniera d’oro: è lecito dunque pensare che in tempi record il web farà antrettanto . E non solo il web . Se c’è qualcosa che in effetti rischia il collasso è la civiltà occidentale, ma *il web e Internet tutta ne sarebbe solo la prima grande vittima in quanto così come è concepito oggi è per lo più un costo che qualunque contadino, allevatore, operaio non ha motivo alcuno di sostenere*. Perché dovrebbero pagare la stozza ai tanti giovani manager che sfruttano i più ingenui giovani ingegneri per produrre i 10000 e più progetti SaaS prodotti in questi anni di Era Google?
Se uno di noi iperconnessi si dotasse di un’ottica antropologica nell’osservare la loro vita, la loro routine, scoprirebbe piuttosto facilmente che tutti coloro che producono la sola ricchezza esistente – quella materiale, il resto è “solo” evoluzione – non hanno voglia di sfasciarsi la testa con le nostre elucubrazioni che tutto fanno tranne produrre qualcosa di utile, ma soprattutto meno gli vengono pagati i loro prodotti dalla Grande Distribuzione Organizzata, meno tempo materiale hanno – anche volendo – di dedicarcisi. O meglio: sanno di avere bisogno del medico e poco altro; percepiscono che tanti altri studiosi – matematici, biologi, ingegneri, assistenti sociali – sono utili; percepiscono anche che il prete può tornare utile per lo meno lì dove perfino la scienza non può fornire soluzioni concrete – grossomodo ovunque sia necessario includere le previsioni e la morte – ma della politica e del marketing, al di là della sfera strettamente locale, che cioè li riguarda da vicino, non ne hanno bisogno. È l’unico modo per spiegare perché anche lì dove l’ADSL c’è, circa il 50% delle famiglie si ostina a non volersi collegare. Storia che si è ripetuta anche con il Wimax – spacciato da tanti come soluzione per il digital divide – che in casa AriaDSL, nel primissimo periodo di attività, ha venduto si più contratti del previsto, ma solo dentro Perugia città, non in campagna dove non c’era cioè l’ADSL.
E l’ICT è un settore fatto in buona parte di marketing e politica globali, anche se non in senso tradizionale. Per lo meno oggi è fatto di questo e di Bravi Informatici , che però sono inquadrati come operai; il nostro tenore di vita è infatti sceso notevolmente, esattamente come gli stipendi degli operai sono scesi costantemente dal dopoguerra ad oggi. E sempre in favore di professioni più leggere e farfallone: manager, pubbliche relazioni, politica. Dov’è dunque l’unico rischio che stiamo correndo? Che quel 50% circa di italiani che non sono connessi, a cui si aggiunge un altro 30% che è connesso ma si limita ad uso ludico di Internet – i digital divisi culturali – si stanchino dei costi che sostengono per mantenere tutto il carrozzone ICT. Uno cioè – tra le altre cose – dei principali volani dell’attuale crisi finanziaria. E questo sarebbe un disastro perché chi non ha avuto in passato il tempo per approfondire le moltissime dinamiche contro-intuitive esistenti in ogni ambito del sapere umano, quando è portato all’esasperazione tende a cercare di estendere nel modo più frettoloso possibile i propri metodi intuitivi – comunismo, fascismo, misticismo – oltre la dimensione locale, generando così decenni e a volte secoli di barbarie perché quei metodi non tengono conto delle reali possibilità – questioni largamente contro-intuitive – dell’informazione. È per questo ad esempio che i greci sapevano già ciò che l’occidente ha poi invece freudianamente dimenticato per secoli . Il rischio è cioè quello di una graduale involuzione culturale in parte già iniziata con poco meno di un secolo di cultura del broadcasting, dell’immagine rivelata, del rifiuto di tutto ciò che è diverso e alieno. Come Internet, nell’ottica dei nostri (nda: io ho un calcolatore quantistico classe 1978) genitori. Ma anche nell’ottica di tutti quei manager 1.0, 2.0, 3.0, 4.0 etc. che in buona fede o meno , al grido di “Tengo Famiglia”, si ostinano a perpetrare la tragedia umana senza però curarsi di quel poco di convivenza necessaria a trasformare la tragedia in un’avventura.
Insomma caro PI, non c’è da preoccuparsi se qualche migliaio di giovanottoni cresciutelli, utilitaristi figli dell’industrialismo, perdono il loro inutile gingillo imprenditoriale 2.0 sotto i colpi della scure della creative destruction . Quello
era già calcolato dalle entità che li finanziavano, e troveranno certamente lavoro in qualche call center o in qualche piantagione di
pomodori, vigneti, uliveti, anche questo già calcolato da qualche ingegnere gestionale. Quando a marzo 2007 riportavo la mia esperienza condita dalle parole di un analista che ne ha ancora di più, molti tuoi lettori più presi dall’hype 2.0 avranno certamente pensato che sono un pessimista depresso. Spero però che al giorno d’oggi abbiano capito perché all’epoca ero addirittura giulivo nel dichiarare sulle tue pagine: “ogni volta che dico niente a chi mi chiede cosa faccio nella vita, mi sento un fortunato”. Valeva la pena comprimere i propri tempi per cavalcare quella bolla? Valeva la pena, caro il mio bel giovane di belle speranze , pensare arbeit macht frei come da primo articolo della nostra beneamata Costituzione? Insomma, a morire non è mai lo strumento tecnico. Al massimo sono i giovani che, vuoi perché più manipolabili da un qualsiasi datore di lavoro, vuoi perché più condizionabili con una qualsivoglia ideologia economica, nell’accordarsi a quello o quell’altro potente consumano la propria vita come candele accese da tutte e due le estremità . Fortunatamente ce ne sono altri che lavorano bene: attualmente ne conto 1 a Milano, 1 a Ravenna, e altri che ci stanno pensando. È perfino possibile che anche io per fine anno tornerò a far compagnia ai lavoratori; in fin dei conti non sono così vecchio, mi annoio un po’, e oramai anche le prime donne del 2.0 dovrebbero essersi finalmente stancate di girare in kyklos . Vediamo cosa accadrà col 3.0.
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