Seoul – È un lungo articolo della BBC a portare all’attenzione del mondo il caso della Corea: paese simbolo della connettività e della banda larga, nonché della diffusione della telefonia mobile, è tra i primi a fare i conti con una dark side della socialità telematica dai connotati del tutto nuovi.
In particolare le autorità temono la diffusione del mobbing via Internet, che a volte si traduce in azioni di gruppo verso particolari soggetti, ad esempio persone in vista, personaggi televisivi e via dicendo. Offese, ingiurie ma soprattutto minacce, persino di morte, stando a quanto riferisce la cronaca. Nell’ultimo anno, la Commissione coreana su Internet ha ricevuto un numero di segnalazioni di questo genere di aggressioni via Internet, che è triplicato rispetto all’anno precedente.
Preoccupa, ad esempio, la disseminazione anonima online di dati personali, comprensivi di dettagli come indirizzi di residenza o numeri di carte di credito. “Spesso – spiega a BBC Chun Seong Lee, uno dei responsabili del Centro che si occupa di cyber terror – si usa il login di qualcun altro per accedere ad un sito web, dove si diffondono notizie pensate per danneggiare la reputazione della vittima”.
In Corea i commissariati già ospitano delle unità dedicate specificamente al crimine telematico, minacce comprese, ma ora Seoul ritiene che non basti più, visto il crescere dei casi. Una prima soluzione è una restrizione delle libertà online , eventualità che, visti i fatti, risulterebbe meno sgradita che in passato agli utenti coreani: l’anno prossimo una nuova legge entrerà in vigore e costringerà chiunque pubblichi proprie opinioni online a rivelare la propria identità.
Basterà? No, almeno a sentire i provider consultati dall’autorevole testata britannica. “Poiché la diffusione di informazioni su internet è rapidissima – spiega uno di loro – abbiamo bisogno di un sistema che impedisca alle persone di usare la rete in casi di diffamazione: solo così fermeremo la diffusione di informazioni prima che abbia luogo, per salvare la vittima”.
In realtà, entrambi i sistemi ad un occhio attento non sembrano sufficienti: la possibilità di muoversi in rete senza farsi rintracciare è concreta per chi lo voglia fare e abbia un minimo di conoscenze, soprattutto in un paese che non applica proxy di Stato né un monitoraggio continuativo di polizia su quanto avviene in rete. Il timore che Seoul possa passare a misure ancora più drastiche si fa quindi concreto e, come osserva la BBC , non c’è dubbio che tutti i paesi dove Internet è maggiormente diffuso stiano valutando il caso coreano. Prendere contromisure che rispettino le libertà degli utenti non sarà facile, per nessuno.